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Alex il Medullo nel Paese dei Petrocori. Quinta parte.

Non lontano dall’abbazia di Boschaud sulla riva sinistra della vallata del Trincou, c’è una frazione di Villars che si chiama Il Cluzeau. Un cluzeau nella lingua locale è una cavità di falesia oppure delle cavità sotterranee scavate dalle acque nel calcare a partire di crepe naturali chiamate diaclasi. Va bene, finisco di fare il cicerone! Siamo nel Périgord che è conosciuto nel mondo intero per le grotte di Lascaux e forse avete già capito che vi porto a vedere una grotta preistorica, ma non una riproduzione, una vera grotta con le sue raffigurazioni che risalgono al paleolitico superiore cioè a circa diciassettemila anni fa: la grotte di Villars. Quindi salgo la collina e dopo le quattro case della frazione si arriva sul parcheggio che assomiglia a un bocciodromo. Francamente se vedessi alcuni vecchi giocare a bocce oppure a carte nel bar all’ingresso del sito, non sarei per niente sorpreso e mi viene una di queste nostalgie ricordandomi il bocciodromo dove giocava in estate, mio nonno a Bordeaux soprattutto che il bar è identico a quello in cui mio nonno trascorreva i pomeriggi d’inverno a giocare a carte. Sul parcheggio ci sono due camper tedeschi. È la fine della stagione e Villars non è ovviamente Montignac. Dico buongiorno in tedesco alla coppia di anziani che aspetta al bar l’apertura della biglietteria che è addirittura il banco del bar, loro mi rispondono in francese e meno male  perchè ho già esaurito tutto il mio vocabolario tedesco. L’altra coppia tedesca è giovane con due bambini. Le due coppie che non si conoscono si mettono a chiacchierare come se fossero parenti; concittadini tedeschi stupiti di trovarsi insieme nelle colline perse dell’alto Périgord. Aspettiamo la guida che ha le chiavi della grotta. I bambini si divertono perché dietro il bar c’è un bellissimo giardino preistorico e pedagogico con tanti animali giganti fatti di materie sintetiche che ruggiscono quando si passa a prossimità; ma forse non è il buon verbo per designare il rumore emesso da un rinoceronte di plastica furioso. La guida è arrivata. Ovviamente lei, come tutti i petrocori, parla inglese come se fosse londinese e chiede ai tedeschi se parlano questa lingua. I tedeschi compresi i due bambini rispondono di sì e siccome non voglio passare per il cretino di turno, le dico che non mi disturba una visita in inglese. Sul cammino che scende verso la grotta, ascolto il chiacchiericcio dei tedeschi e capisco qualcosa cioè che la giovane coppia viene dal Paese dei Medulli, di Lacanau. Allora, fiero come un pidocchio medullo, mi volto verso di loro e dico in inglese che io sono di questo paese di Lacanau in riva all’oceano. Sorridono e mi fanno mille domande che non capisco. La guida sorride, ha pietà di me, e mi salva con quattro frasi rivolte ai tedeschi e completamente incomprensibili per me. Va bene, tranquillo, le farò la visita anche in francese e lei mi fa anche un occhiolino. I tedeschi sorridono anche loro. Siamo diventati una famiglia anche se sospetto  che uno dei due bambini abbia chiesto alla madre perché questo imbecille non capisce l’inglese. La grotta di Villars è costituita da tre cavità che ne formano una. La grotta di Carrière, la grotta del buco che fuma e la grotta di Villars. All’inizio degli anni 1950, le cavità di Carrière e del buco che fuma erano già conosciute dagli speleologi che sospettavano l’esistenza di un’altra cavità. Nel mese di dicembre 1953, il  club di speleologia di Périgueux scopre finalmente l’ingresso ostruito di questa cavità di cui una piccola parte costituisce la grotta ornata di Villars. Quindi abbiamo tre ingressi principali per una grande e stessa cavità che viene chiamata più comodamente la grotta di Villars. La guida ha detto che le fotografie sono vietate, ma che possiamo comprare cartoline al bar. La vecchia coppia fa finta di non avere compreso ed appena la guida è nascosta dietro qualche mucchio di stalagmiti, la moglie scatta tutto quello che può. Perché? Mistero. Più si scende dentro la grotta più le concrezioni diventano impressionanti di bellezza. In un posto chiamato il balcone, la guida preme il pulsante di un telecomando e subito si scatta uno spettacolo suoni e luci, sotto i nostri piedi, nel fondo della grotta: grugniti  d’orsi che penetrano nella grotta per svernare, ombre di una masnada di rinoceronti sulle parete, galoppate di cavalli inseguiti dai cacciatori. Già quando gli speleologi entrarono nella cavità nel 1954, notarono delle concrezioni rotte sulle quali si erano formate delle piccole stalattite e trovarono la cosa abbastanza intrigante. Poi l’anno seguente fu quello della scoperta delle graffiate degli orsi nella stanza che si chiama oggi la stanza delle graffiate. I due bambini tedeschi fanno mille domande su queste graffiate e sulla vita di questi orsi preistorici. Tante che mi dico che non tornerò mai a Perigueux prima di mezzanotte. Ma perché non ho avuto la fortuna di fare la visita con dei piccoli francesi che restano invariabilmente muti quando visitano un luogo di interesse. E la guida che si rivela una specialista mondiale degli orsi! Va bene, ascoltiamo le risposte della guida che i due piccoli tedeschi fanno addirittura delle domande interessanti!  Dopo la stanza delle graffiate c’è la stanza dei ceri che non fu esplorata per paura di distruggere le stalagmiti. Nel 1957 dopo la scoperta di una mandibola d’orso e di due metacarpi d’orsi nella stanza del caos, gli scienziati si interessano di nuovo alla stanza dei ceri e scoprono un attrezzo in selce e quindi mettono una porta per chiudere l’accesso alla stanza. Nel 1958, si chiede al proprietario l’accordo di rompere le concrezioni e così penetrano attraverso una gattaiola in un’altra stanza che si chiama oggi la stanza dei dipinti e scoprono meravigliati sulle parete, e sotto una velatura di calcite blu, gli stessi dipinti che si svelano sotto gli occhi stupiti dei tedeschi e dei miei: cavalli, stregone affrontando un bisonte, rinoceronti orsi, mammut, cavalli acefali. Siamo tutti a bocca aperta davanti ai dipinti che la guida ci fa scoprire con un puntatore laser, anche la vecchia tedesca ha smesso di scattare di nascosto tutto e niente ed è soggiogata dalla bellezza di questo cavallo blu che è l’emblema della grotta di Villars e dalla raffigurazione di uno sciamano davanti ad un bisonte. Nessun parla. Una chiesa. Poi, il momento magico passa e ricominciamo a respirare quando la guida ci chiede se abbiamo delle domande. I bambini tedeschi hanno ovviamente un sacco di domande da fare. Beh, anch’io per dire la verità e ho dimenticato che devo tornare a Périgueux. 

Cari lettori e care lettrici, visto che gli scatti e le video sono vietati nella grotta di Villars, vi propongo sotto un video della grotta di Villars che non ne svela troppo. 

Alex il Medullo nel Paese dei Petrocori. Quarta parte.

In panetteria, per meno di tre euro, mi sono comprato un panino: tra due fette di pane di campagna, la metà di un formaggio fourme d’Ambert mescolato con della besciamella, sopra il formaggio non hanno pianto il prosciutto del paese. Poi ancora formaggio passato al forno sopra il panino. Il coso deve pesare quattrocento grammi se lo mangio in una volta, muoio. La mia macchina percorre le colline vestite di castagni, noci e querce, il Paese è tanto diverso dalle lande e pinete del Paese dei Medulli che devo fermarmi più volte tanto sono meravigliato da tutta questa natura a me sconosciuta. Sono perso, la strada finisce in cammino di mucche e con un divieto di circolare. Devo fare il giro della collina e trovare un’altra strada per varcarla. Salgo la collina finalmente. In cima si apre una stretta vallata, la strada si chiama: il cammino della fine del Mondo. Devo fermarmi ancora una volta per ammirare la bellezza di questa gola fresca accerchiata di foreste. Quattro antiche case sul pendio, un campo appena arato nel fondo della gola che fa tutta la lunghezza della vallata. Poi, solitaria, sul bordo del campo al limitare della foresta, una massa abbagliante al sole, inginocchiata come in preghiera. Meglio: un vecchio nido di pietre abbandonato da secoli che sta crollando pietra dopo pietra sotto i colpi della Natura: le vestigia dell’abbazia cistercense di Boschaud. Sono solo, alla fine del Mondo, nelle rovine della vecchia abbazia bizantina, mi siedo al sole sul resto di un muretto per mangiare il mio panino sotto il cielo miracoloso di una cupola a metà squarciata, l’ultima delle sei cupole della navata. Per dire la verità, la cupola è stata consolidata nonché sono stati ristrutturati: l’abside circolare, il coro è una crociera del transetto di fronte al banco dove sono seduto. Mi sento sereno nel vecchio nido di monaci nonostante la sua storia tragica. L’abbazia risale al XII secolo. Conoscete l’espressione: avere voce al capitolo? Viene dal fatto che certi monaci, i nobili ovviamente, durante il capitolo, avevano diritto di parlare degli affari della comunità e gli altri, i loro schiavi, i fratelli conversi, no. Quindi, nel XIII secolo, i fratelli conversi si ribellarono e sgozzarono l’abate e i monaci che si dedicavano allo studio. Erano tempi di carestia. Il secolo seguente, il fracasso della guerra dei cent’anni raggiunse L’abbazia che venne saccheggiata da briganti. I monaci furono massacrati fino all’ultimo. Poi, ci furono le guerre di religione e Coligny fece radere al suolo la navata. Poi, alla fine del XVIII secolo, quando i rivoluzionari raggiunsero L’abbazia della fine del Mondo, ci restava che un vecchio monaco idiota che fu cacciato via. L’abbazia inutile fu venduta a un contadino e dimenticata prima di essere riscoperta alla metà del XX secolo. Sui muri del vecchio nido di monaci che scalda il sole, fioriscono nelle crepe: rovine di Roma, margherite ed aconiti. Dentro, nell’ombra, delle lingue di cervo si bevono l’umidità che sgorga dalle antiche pietre. Noccioli assalgono i muri esterni. È tutto un piccolo e proprio universo botanico all’opera per cancellare, pietra dopo pietra, il carattere monastico del vecchio nido della superstizione. Esco fuori dalle vestigia dell’abbazia, il sole splende, le colline ancora verdeggianti che mi circondano mi danno un rimpianto. Ahimè, se avessi qualche ora per camminare in queste foreste che devono traboccare di porcini e di cantarelli! Atteggiamento autunnale tipico di un abitante del Paese dei Medulli che non riesce a non pensare ai funghi appena il tizio vede un bosco.

Gironda: I due cavalieri di Benauge!

A Londra, dentro la cappella San Giorgio di Windsor, lo stallo più antico è quello del guascone Giovanni di Grailly, il captal di Buch (il signore di Buch), il cavaliere più famoso del XIV secolo di cui il solo nome faceva tremare il Re di Francia e spaventava le sue armate. Erano i tempi in cui l’Inghilterra apparteneva ai duchi d’Aquitania, i tempi della guerra dei cent’anni e dei nostri antenati bordolesi che combattevano l’invasore francese. Oggi, il Paese di Buch è il territorio intorno al Bacino di Arcachon che confina al Nord con il Médoc ma, nel  XIV secolo, il captalat  di Buch (la signoria di Buch) possedeva anche tutte le terre tra la città di Cadillac e le porte Sud di Bordeaux (la Benauge era il nome di questo territorio) e una buona parte del Médoc. Il captal di Buch, Giovanni di Grailly, insieme al principe Nero, vinsero l’esercito francese e catturarono il Re di Francia, il bastardo Giovanni II, alla battaglia di Poitiers ed i trovatori ne fecero delle canzoni. Il castello inespugnabile di Benauge era la dimora della famiglia di Grailly.

In una delle sale del castello, Il vecchio leone, ottantaquattro anni, la schiena dritta come una I, ascolta il giovane marito della nipotina salmodiare la litania dei personaggi che hanno occupato il castello da mille anni. Il giovane uomo perde il filo, balbetta, si perde nei numeri romani dei diversi Giovanni e Pietro. Il vecchio leone sorride, si avvicina e riprende la trama, senza esitare, tale un Re polinesiano che conosce la genealogia dei suoi antenati dalla notte dei tempi. Il vecchio leone dalla voce cristallina è un affabulatore nato e presto mi ritrovo immerso nella vita di Giovanni di Grailly e della sua lotta fino all’ultimo sangue per l’indipendenza della Guascogna. Quaranta minuti di racconto sono  passate in un lampo. Il vecchio leone quasi si scusa del suo entusiasmo, ringrazia e si allontana. Il marito della nipotina mi invita a vedere i resti del torrione, delle tre torri, delle mura e della cappella. La parte più antica del castello è stata venduta a un mercante di pietre alla Rivoluzione e la famiglia del vecchio leone ha acquistato la rovina dopo la prima guerra mondiale. Non posso evitare di fare il parallelo tra la vita di Giovanni di Grailly e quella del vecchio leone. La stessa volontà implacabile. La promessa del leoncino fatta al nonno di salvare il castello. L’immagino, giovane con il fratello, salire in cima al torrione per segare i pini mostruosi che erano cresciuti sul tetto e che minacciavano di fare crollare il torrione e tutto il castello, L’immagino troncare l’edera spessa come una foresta di querce che assaliva il torrione. Immagino tutto questo combattimento per più di trent’anni per salvare il torrione; tutti questi anni a fare lo scalpellino, il muratore, il carpentiere; tutti questi anni di lotta per convincere l’architetto dei monumenti di Francia ad ogni volta che ci voleva spostare una pietra; tutti questi anni di lotta ad assillare gli artigiani che non volevano venire in queste colline sperdute per dei lavori complicati e pericolosissimi; tutti questi anni ad elemosinare fondi all’amministrazione e convincerla che valeva la pena di salvare il castello di Benauge; tutti questi anni a fare visitare il castello, a fare delle confetture, a coltivare la vigna per guadagnare di che continuare un anno di più. Ancora quest’estate, quando l’associazione degli amici del castello ei volontari sono venuti per consolidare il muro di una torre, il vecchio leone si è montato tutto il ponteggio, è sceso nel pozzo che era ostruito per liberarlo e così tutti i volontari hanno avuto dell’acqua fresca. Il vecchio leone non si fermerà mai fino al suo ultimo soffio; ha sistemato l’elettricità nella parte rinascimentale del castello per il matrimonio della nipotina; continua instancabilmente a cercare il passaggio segreto che permetteva di scappare dal castello. Il vecchio leone ha saputo trasmettere il suo entusiasmo ai suoi discendenti. Guardo il paesaggio di colline intorno al castello, il vecchio leone viene a trovarmi per ringraziarmi per la visita, dice che i miei sei euro partecipano alla salvaguardia del castello. Non so cosa rispondere. Ci sorridiamo.