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Perché Roma si trova in Italia? Ovviamente per colpa di uno stregone del Médoc!

Ringrazio Marion che mi ha regalato la foto della chiesa di Moulis per illustrare il post. Il racconto, in guascone del Médoc che potete leggere sotto, tradotto da me in italiano e in francese, è stato raccolto dal linguista Alain Viaut presso un abitante del Médoc alla fine del secolo precedente e si legge nel suo libro: Racconti del bordolese (raccolti nel Médoc).

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Lo Papa, sabem pas lo quau, avé mandat que bastissen duas glèisas : una a Molis apèi l’auta en Italia. L’endreit que la glèisa saré acabada la permèira divè recéber lo nom de Ròma. Alabetz se gahèren. A Molis haden venir las pèiras dempui de Blaia emb las gabarras. Eran descargadar a La Marca apèi après, las carrejavan dinc a Molis per la levada hèita pras Romèns. Mès ‘quò ‘s que los carrets s’anueitavan qu’i avé quitas carretas que dispareishèn sovent.

Aquo era lo dit qu’èra Luonard, lo mishant esperit de Baishabela, que lisi fotè lo torn. Aqueste ahar, solide, retardava l’obratge. Egal, la glèisa èra fenida quasi, quan dus omes, en sortens de sopar, se van bèire ‘riba un cabalèir. Eth sauta de son chibau roiflant et ditz :  la glèisa de Ròma es acabada e lo Papa i a tanlèu dit la messa. Tots n’esturen consternats bé. Lo diables que divè istar per quauquarrés. Totun, balà la reson per de que Molis n’a pas estat Ròma. 

[V si pronuncia sia W tra due vocali (avé/awé) sia B come in spagnolo (venir/Beni). H tra due vocali o all’inizio di una parola è aspirata come in inglese. A, R, N sono mute in finale di una parola: levada/lewade. O si pronuncia U in italiano tranne quando c’è un accento grave. Per i dittonghi e il resto, la pronuncia è la stessa della lingua italiana]

Il Papa non si sa più il quale, aveva chiesto di edificare due chiese, l’una a Moulis e l’altra in Italia. Il posto dove la prima chiesa sarebbe terminata doveva prendere il nome di Roma. Allora tutti si misero al lavoro. A Moulis si facevano venire le pietre da Blaye con le chiatte. Erano scaricate sul porto di Lamarque poi dopo, erano carreggiate fino a Moulis per la strada fatta dai romani. Ma era che stranamente i cari mettevano giorni e giorni per percorrere i pochi chilometri che separano i due paesi e che spesso c’erano dei carri che addirittura svanivano nel nulla.

Era, secondo gli abitanti, Leonardo, il cattivo stregone di Beychevelle che gettava il malocchio su tutto il cantiere. Tutti questi sortilegi ostacolavano i lavori. Ma comunque la chiesa era quasi terminata, quando due uomini uscendo dopo cena, si vedono arrivare un cavaliere. Egli salta dal suo cavallo schiumando e dice: la chiesa di Roma è terminata e il Papa ci ha detto anche la messa! Pensate che tutti a Moulis ne furono stupiti, pardi! Il diavolo ci doveva essere per qualcosa. Tuttavia, ecco la ragione per cui Moulis non è stato Roma. 

Je remercie Marion qui m’a permis d’utiliser une de ses photos de l’église de Moulis. Le texte ci-dessous en gascon du Médoc, traduit par moi en italien et en français fait partie d’un ouvrage publié par le linguiste Alain Viaut intitulé : Récits et contes du bordelais recueillis dans le Médoc (1981), épuisé mais que vous pouvez vous procurer à la bibliothèque de Bordeaux.

Lo Papa, sabem pas lo quau, avé mandat que bastissen duas glèisas : una a Molis apèi l’auta en Italia. L’endreit que la glèisa saré acabada la permèira divè recéber lo nom de Ròma. Alabetz se gahèren. A Molis haden venir las pèiras dempui de Blaia emb las gabarras. Eran descargadar a La Marca apèi après, las carrejavan dinc a Molis per la levada hèita pras Romèns. Mès ‘quò ‘s que los carrets s’anueitavan qu’i avé quitas carretas que dispareishèn sovent.

Aquo era lo dit qu’èra Luonard, lo mishant esperit de Baishabela, que lisi fotè lo torn. Aqueste ahar, solide, retardava l’obratge. Egal, la glèisa èra fenida quasi, quan dus omes, en sortens de sopar, se van bèire ‘riba un cabalèir. Eth sauta de son chibau roiflant et ditz :  la glèisa de Ròma es acabada e lo Papa i a tanlèu dit la messa. Tots n’esturen consternats bé. Lo diables que divè istar per quauquarrés. Totun, balà la reson per de que Molis n’a pas estat Ròma. 

[V se prononce soit W entre deux voyelles soit B comme en espagnol (avé/awé, Venir/beni). H entre deux voyelles ou au début d’un mot comme le h anglais. A, R, N sont muets à la fin des mots. O se prononce Ou s’il n’a pas d’accent grave. Ei, ai, au, ui…se prononcent comme en italien ainsi que les voyelles nasales] 

Le Pape, on ne sait plus lequel, avait demandé de faire bâtir deux églises, l’une à Moulis et l’autre en Italie. L’endroit qui aurait vu la première des deux églises achevée, se serait appelée Rome. Alors, tous les habitants s’y mirent. A Moulis on faisait transporter les pierres depuis Blaye grâce aux gabarres. Puis, elles étaient déchargées à Lamarque et chargées sur des chariots pour être transportées jusqu’à Moulis par la vieille route romaine. Mais c’est que les chariots mettaient un temps considérable à faire le court chemin et il y avait souvent des chariots qui s’évanouissaient dans le néant.

C’était dit-on Léonard, le méchant esprit de Beychevelle qui leur mettait le mauvais sort. Tous ces tracas, c’est sûr, retardaient l’ouvrage. Mais enfin, l’église était quasiment finie, quand deux hommes sortant de dîner voient arriver un cavalier, il saute de son cheval écumant et dit : l’église de Rome est achevée et le pape y a même dit la messe. Tous les habitants en furent consternés, pardi ! Le diable dut avoir son rôle à jouer dans l’histoire. Cependant voilà la raison pour laquelle Moulis n’est pas devenue Rome. 

Médoc e Geografia: L’isola viaggiatrice!

Oronzio Fineo, il famoso matematico francese ma anche geografo, astronomo, cartografo, astrologo, geometra…ecc…pubblicò, tra il 1525 e il 1557, le sue mappe della Gallia che fecero sognare l’Europa intera. Sulla mappa sopra del 1538, possiamo vedere che il Médoc è ancora una microscopica isola in pieno Oceano Atlantico di fronte alla provincia della Saintonge. Bordeaux è in riva a una baia che si apre sull’oceano. La cittadina di Lesparre è una frazione di Bordeaux. La Dordogna non è ancora un affluente della Garonna, ma un fiume parallelo che sfocia nella baia di Bordeaux. Il fiume Gironda non esiste ancora. La città di Blaye è un porto sull’Oceano tra Bordeaux e La Rochelle….

Appena un secolo più tardi, tutto è sconvolto! E la mappa sopra del geografo Pierre Duval ci mostra un’altra realtà. Cos’è successo storicamente tra le due mappe? Semplicemente i medocchini decidessero di lasciare la provincia della Saintonge per quella più ricca della Guascogna. L’isola del Médoc fu messa in moto e, per la prima e unica volta della Storia dell’umanità, un popolo solcò l’Oceano a bordo di un’isola. Tutto andava per il meglio quando all’ingresso della baia di Bordeaux, i freni e il timone dell’isola del Médoc furono resi inutilizzabili per colpa delle potenti correnti oceaniche. Invece di ancorarsi dolcemente nelle dune a Nord di Bordeaux, l’isola ei suoi poveri medocchini si diressero a tutta velocità verso il porto di Bordeaux. Immaginate un po’ il cataclismo biblico quando l’isola si infranse contro il continente. La baia fu scavata lontano verso monte da uno tsunami su più di cento chilometri.  I due fiumi che erano paralleli si raggiunsero e ne formarono un terzo: la Gironda. Le città di Blaye e di Bordeaux saltarono in aria e ricaddero per caso lontano dall’Oceano: miracolosamente tutte le due in riva al fiume Garonna. La cittadina di Lesparre che era in periferia di Bordeaux cadde in questo immenso territorio nuovo emerso dallo scontro tra l’isola del Médoc e il continente e che prese il nome di Médoc. Immaginate un po’ il traumatismo di tutta questa gente di Bordeaux e, pensate che fino all’inizio del ventesimo secolo, nessuno bordolese avrebbe osato avventurarsi a Nord della città, nelle paludi dove iniziava il temuto territorio del Médoc…. 

Bordeaux: L’aiga negra

Stavo osservando un blocco d’ombra grigiastro che l’antico mulino tagliava nell’acqua nera e mi chiedevo: quanti sono i fiumi neri che attraversano Bordeaux per andare a buttarsi nella Garonna? Quante sono le reliquie ei monconi dei mulini che si rizzano sulle sponde dei fiumi neri? Quante battaglie cruente e dimenticate  si sono svolte in due mille anni per impadronirsi della forza motrice dell’acqua dei fiumi neri? quando si è rimesso a piovere. Il sentiero, dilavato dalle piogge continue di quegli ultimi mesi, fa il giro di una duna chiamata ironicamente Arcachon e che ricorda l’Oceano solo per una linea bluastra di pini marittimi che sfugge verso Ovest e la presenza di corbezzoli mingherlini. Ai piedi della duna, durante la stagione fosca, la foresta trasformata in mangrovia è diversa da quella dell’alto. Malefica. Pini rattrappiti e scorbutici divorati dagli insetti; querce giganti morte, sradicate e giacenti attraverso il fiume oppure dritte, ma folgorate e calcinate dai fulmini. Radici di ontani che assomigliano a grossi serpenti morti, bucchi d’acqua e accozzaglia di rami marci che cercano a rompermi una gamba. Eppure, per caso, in questo universo, attraverso una bellissima radura luminosa che sembra essere stata risparmiata dalla pioggia. Una bella insenatura silenziosa con la sua sabbia bianca che fa come la camicia di una giovane sposa. Allora, so che è stato un errore di lasciare il sentiero per scendere fino al fiume nero. Si dice che una volta in queste insenature venivano i contadini, i servi, i mugnai per festeggiare il Sabba e che, al crepuscolo di certe sere, ci si può ancora incontrare lavandaie che lavano il loro oro nell’acqua turbata dei fiumi neri e che vi propongono un pugno di monete d’oro, tutto quello che la  vostra mano può afferrare. Se non sapete resistere alla cupidità, il vostro destino è sigillato: morte per annegamento. Risalgo la duna che sembra una coltre nera di pini marittimi, scivolo mille volte sulla sabbia tutta impregnata d’acqua, mi tengo ai pilastri che sono i pini marittimi per progredire. La duna è varcata. Scendo dall’altra parte fino a ritrovare il sentiero. Un altro mulino più lontano. Il tumulto dell’acqua nera che si infrange contro la chiuse e che ne risale tutta gialla è schiumosa dall’altra parte prima di ridiventare nera dopo una decina di metri. Mi accorgo di qualcosa che si muove sul tetto del mulino accanto al camino. Allora uno che crede alle lavandaie, per forza è persuaso anche che i diavoli vivono nei camini. Quando torno a casa, la pioggia è diluviana. Ripenso alla radura luminosa che ho attraversata mezz’ora fa e all’ombra sul tetto del mulino. Quindi vado a tagliare un bel ramo di alloro nel giardino. La sera, la pioggia è sempre torrenziale. Il giardino è quasi allagato. Al momento di andare a letto, butto il ramo di caccia-diavolo ancora bagnato nel fuoco del camino. Non si sa mai, penso, se qualcuno mi avesse seguito dal mulino. Rido delle mie superstizioni di un altro tempo.