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La parola chic in francese!

Parigi 1925. Quai du Louvre 16.

Chic. Sostantivo maschile. 1 Abilità, destrezza, capacità..ecc. Questo tizio ha lo chic per mandarmi in bestia. Lei ha lo chic per farci sentire bene in quel periodo buio. Locuzione avverbiale (che non si usa più in francese). Di chic. Lavorare di chic, disegnare di chic cioè senza l’aiuto di un modello di ispirazione. Dipingere un quadro di chic cioè di memoria e con destrezza. In realtà, chic è una parola che apparteneva al gergo dei pittori. C’è un’etimologia di fantasia divertente che racconta che, all’origine, chic sarebbe stato il cognome di un allievo di Horace Vernet o di Jacques-Louis David che era tanto abile a dipingere di memoria che il cognome sarebbe diventato un’espressione: dipingere come Chic, dipingere alla maniera di Chic e alla fine: dipingere di chic. Dovete capire con questa locuzione avverbiale che parliamo di un’opera bella, ma soprattutto artificiale e molto convenzionale. Baudelaire denunciava lo chic come l’abuso di memoria cioè non l’abuso di una memoria profonda dei caratteri e delle forme di cui sono dotati i cervelli dei più grandi artisti, ma un abuso della memoria della mano. Insomma i pittori di chic invece del cervello usavano soprattutto la loro tecnica. Da quel primo senso di chic cioè del pubblico che esclama davanti a un dipinto di chic: quanto è bello! ne deriva un secondo che si diffonde dal gergo della pittura alla lingua usuale. 2 Quello che è elegante, di buon gusto, distinto…ecc – e anche il contrario, dipende dal modo di dirlo che può essere, sincero oppure addirittura ironico. Lo chic parigino Questo cappello è molto chic! La parola chic, nel senso francese contemporeano, nasce nel contesto della Rivoluzione francese per sostituire eleganza che suonava decisamente troppo Antico regime. II Aggettivo invariabile. 1 Elegante, distinto. Vestirsi chic. Una cena molto chic (esclusiva). 2 Amichevole, generoso, simpatico, servizievole..ecc. Una chic ragazza (una brava ragazza per dirlo in italiano). Lei è stata molto chic con me…ecc. 3 interiezione che segna la sorpresa o l’approvazione. Chic alors! Chic, ci saranno delle lasagne a pranzo! Chic, fa sole oggi! Ecco, credo sia tutto quello che possiamo dire su chic. Ah no, ho dimenticato che chic è una parola che viene dal tedesco Schick che è l’abbreviazione di Geschick.

Fonte per la scrittura di questo post:qualche ricordo e l’aiuto del tesoro della lingua francese.

Espressione francese colorita per dire arrangiarsi.

Aver solo il suo cazzo e il suo coltello (sa bite et son couteau in francese) , fare qualcosa con il suo cazzo e il suo coltello.

Esempio:

Io – lamentandomi arrivando a casa della zia per portarla al mercato: Non ce la faccio più di questo inverno di merda! Fa una settimana che raschio il parabrezza con una vecchia custodia CD!

Lei: sempre lo stesso tirchio che preferisce fare le cose con il suo cazzo e il suo coltello invece di comprare un miserabile rashietto in plastica che gli costerebbe meno di 2 euro!

Io: Beh, hanno detto che il gelo mattutino finirà dopodomani….

Lei: L’inverno non è ancora iniziato! Va bene, stronzo, continua a usare del tuo cazzo e del tuo coltello e smetta di rompere!

🙂 🙂 🙂 🙂

Covid-19: Intermezzo!

Prima di proseguire con i miei post sul mio soggiorno nel Périgord (che non sono ancora scritti!), vi propongo un intermezzo con un dialogo di stasera con mia madre. Le parole seguite da un asterico, indicano la trasposizione di espressioni francesi in italiano, le parole seguite da due asterici, sono modi di dire tipici di Bordeaux. Addio: buongiorno, ciao, arrivederci…ecc. Tracasseyre significa scocciatore.

Entro in casa, Strega sta parlando al telefono e la sento pronunciare questa frase che mi fa girare i sangui* di un colpo e che mi gela le ossa* e il midollo spinale: Té pardi**, anch’io ho il covid! Interrompo il cicaleccio di Strega. Ma cosa stai dicendo che hai il covid? Che fai allora a casa? Non devi andare in ospedale che sei a rischio con il tuo fottuto diabete? Ed io che ho incrociato almeno trenta persone oggi! Strega mette la mano sul telefono e mi folgora in un batter d’occhio: addio** anche a te tracasseyre**, ora fottimi la pace maleducato che sto parlando con La Tirchia! Mi siedo nella poltrona, pensando già al peggio, a tutte le persone che devo contattare, alla quarantena, aspetto la fine della chiamata. Ma come mai hai il covid che non esci quasi mai da casa? chiedo a Strega. Lei mi guarda come se fossi completamente pazzo. Eh bé**, lei dice come se fossi un ritardato mentale, ricordati sei tu che mi hai portata a fare la vaccinazione. La Tirchia mi chiedeva se avessi avuto il covid perché lei è già alla terza volta! Allora, grazie ai miei tre neuroni che funzionano ancora, qualcosa nel mio cervello si accende e dico: ma non si dice “aver il covid”, non devi dire: ho oppure ho avuto il covid. Devi dire: sono stata vaccinata, mi sono vaccinata, qualcosa del genere e comunque qualcosa dentro che contiene vaccinare o vaccinazione! Perché altrimenti penso che sia stata contagiata dal covid! Strega non è affatto convinta: ma tutte le persone che conosco dicono come dico io! Ma stavo parlando con La Tirchia e lei ha capito molto bene. Solo tu non capisci niente e cosa devo fare? Parlare come quello scemo di ministro della Sanità quando sono al telefono con le mie amiche? Ma smettila di essere tracasseyre** così con me!  Strega si calma e anch’io sento il mio sangue che circola di nuovo normalmente e le mie ossa che si riscaldano*. Dopo un momento di silenzio, Strega chiede: Té**, a proposito, vuoi un caffè? Sì, un caffè e qualcosa contro il male di testa. Strega sorride per la prima volta da quando sono entrato: va bene due caffè e due doliprane!

Alex il medullo nel Paese dei petrocori. Secondo parte.

Un altro nome del gatto in francese è cancelliere (greffier) perché tutti sappiamo che i gatti quando scrivono hanno questa bellissima calligrafia e che possono adottare qualsiasi stile dal monaco copista del medioevo fino allo stile perfetto dell’impiegato dell’anagrafe ai tempi della terza Repubblica. Io scrivo a zampa di mosca come si dice in francese, non mi chiedete di rileggere qualcosa che ho scritto perché non ne sono capace. Nel Paese dei Petrocori, i gatti sono anche bravissimi per inventare giochi di parole e altri calembour tipicamente francesi. Io non potrei nemmeno concepire una barzelletta terza Repubblica da inviare a una guida televisiva per guadagnare cinque euro, non mi verrebbe un’idea anche se dovessi essere torturato a morte. Già non avrei mai la calligrafia di un cancelliere, ma ora scopro che i gatti del Paese dei Petrocori padroneggiano tanto la lingua francese che fanno  calembour bellissimi che sono costretto a rileggere più volte per capirli. Il gatto che troneggia sul suo muretto davanti alla casa, tale una sfinge egiziana, mi guarda con un’aria beffarda. Mi avvicino per leggere cosa la bestiola ha scritto sulla cassetta delle lettere. Leggo: Nella vita bisogna essere timbrato e fiero di lettere. (nb: timbrato significa anche pazzo. Lettere e l’essere sono omofoni in francese: lettre/l’être). Il cancelliere sembra sfidarmi di fare meglio. Alzo le spalle. Sono vinto.

Dopo l’episodio del gatto, continuo la camminata  tra le viuzze fiorite del paese deserto. Ammiro le case a traliccio. I cespugli di vecchie ortensie grosse quanto delle piccole querce, sono sul punto di fiorire. I vasi traboccano di fragole, le rose fioriscono come in giugno. Ovunque la natura è in fiore: distese di aiuole curatissime di astri settembrini e di balsamine di Balfour. Eh, ma lo sanno nel Paese dei Petrocori che ufficialmente siamo a fine ottobre e non in primavera! Una vecchia si avvicina spingendo un passeggino. Oh, non è un nipote seduto nel coso, ma un cagnolino! Non ho mai vista una cosa del genere, una pazza sicuramente! Buongiorno signor, saluta la vecchia. Addio signora, rispondo. Poi la signora inizia a lamentarsi che sono troppi i ventisette gradi di oggi, che non c’è più di stagione, che l’autunno è troppo caldo. Vorrei gridare che nel mio Paese dei medulli, in riva all’oceano, crepiamo di freddo e di umidità, che non ci sono più fiori da almeno tre mesi, che ho acceso il riscaldamento e che il prezzo del gas mi impedisce di dormire la notte, che non mangiamo delle fragole con della panna, ma che da noi, siamo già ai tourin e alle garbure*, che lei non dovrebbe lamentarsi. Ma ovviamente non le dico niente perché sono troppo educato e anzi mi lamento con lei del bel tempo. Va bene, la vecchia è partita. Meno di un giorno nel Paese dei Petrocori che ho già una di questa nostalgia del Paese dei Medulli! Ricordo quello che ha scritto il gatto e forse non ne sono particolarmente fiero, ma timbrato certo che lo sono! 

*La garbure è un minestrone tipico del Sudovest della Francia: grasso d’anatra (per fare soffrigere le cipolle e l’aglio), confit d’anatra, prosciutto, cavolo, fagioli, patate, porri, aglio, cipolle, rape, sale, pepe e un trito d’aglio da aggiungere sopra quando il minestrone è pronto.

“Tutte le lingue hanno numeri semplici poi arriva il francese con quatre-vingt-dix (4 volte 20 più 10).”

Sembra che certi italiani che studiano il francese abbiano qualche problema per i numeri compresi tra 70 (soixante-dix) e 99 (quatre-vingt-dix-neuf). Giacomini era un italiano che aveva aperto, nel 1814, un gabinetto di illusioni, via di Valois a Parigi. Dopo tre anni di successo con dei numeri ottici, nel 1817, questo Giacomini propose un nuovo spettacolo, quello di un cane sapiente milanese, istruito e portato a Parigi da un milanese chiamato Castelli d’Orino. Questo cane, che si chiamava Munito, era un barboncino e diventò sicuramente “l’italiano” più famoso di Francia per un exploit strepitoso che esso fece nel mese di novembre di quel 1817. Si legge nel giornale Il costituzionale alla data del 27 novembe 1817: “Il signor Giacomini, proprietario del gabinetto di illusioni, è andato ieri sera, accompagnato da Munito e dai Canarini, dare una rappresentazione al Palais-Royal dal duca di Orléans. La scienza di Munito e l’arditezza dei Canarini hanno occupato per più di un’ora un cerchio brillante. Il giovane Duca di Chartres ha avuto la fantasia di giocare una partita di domino con l’abile allievo del signor Giacomini e non l’ha vinta.” Ora torniamo all’inizio di questa storia che fece la fortuna e la notorietà di Giacomini. Il successo di  Munito fu immediato ed esso fu presto invitato, e non solo in quello del duca di Orléans, ma in tutti i salotti parigini per le sue capacità fuori dal comune. Munito capiva tre lingue di cui il francese, conosceva i colori, indovinava le carte, era campione di domino, era bravissimo in calcolo mentale, sapeva fare addizioni, sottrazioni e moltiplicazioni difficilissime. Quatre-vingt-dix volte quatre-vingt-cinq e Munito dava al pubblico allibito il prodotto in un lampo. 7650! Beh, oltre al fatto che Munito sia stato un campione di domino, se un cagnolino italiano è riuscito a capire questa storia dei numeri francesi fino a realizzare delle operazioni complesse nella lingua di Molière, mi rifiuto di credere che non possiate con un buon allenamento acquistare la stessa dimestichezza di Munito per contare in francese. 😉