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In cui l’autore, prima del terzo lockdown, fa un viaggio fino alla fine del suo Mondo!

Domenica 5 aprile. Confine Nord della penisola del Médoc. Stanno ristrutturando il faro della Punta di Grave. Ci sarà un nuovo spazio museografico nelle due case che affiancano il faro e che non sono affatto antiche come il faro; edifici costruiti dopo la guerra. Il direttore del museo mi dice che, se tutto andrà bene, il faro riaprirà nel 2023. Il giorno prima hanno scoperto una bomba sul cantiere e l’hanno fatta saltare sulla spiaggia in mattinata. Appena si scava, sospira il direttore, troviamo delle bombe. Mi tornano in mente ricordi dell’infanzia intorno a questo faro. Mi vedo ragazzino, seduto su un bunker in cima alla duna, il nonno che mi raccontava della guerra e tutti i dettagli dell’operazione Frankton. Il bunker è sempre allo stesso posto e c’è anche un murales dedicato a quelli dell’operazione Frankton. Rivedo mia madre e mia nonna preparando il picnic sulla duna, tra i pini,  con la veduta sul faro di Cordouan; quante volte abbiamo sognato mio fratello ed io a fare una gita in barca fino al faro! Mi ricordo i bagni e le foreste pietrificate arrivate con le maree e arenate sulla spiaggia. Chiedevo sempre alla nonna: ma a destra, è veramente il fiume? E lei rispondeva: Tanto grande che sembra l’Oceano! Chiedevo ancora: Ma sull’altra riva, di fronte, cosa c’è? E lei rispondeva: “La Francia!” Un giorno, l’altro nonno, quello paterno, aveva telefonato alla nonna materna per chiederle di convincere mia madre di lasciarci con lui per qualche giorno. La colpa del figlio non è quella del padre, ripeteva mia nonna a mia madre. Poi, un giorno mia madre ha ceduto. Non conoscevamo questo nonno. Mio fratello che è sempre stato più aperto di me, gli ha dato subito del tu; io mai, gli ho sempre dato  del lei, anche più tardi quando l’ho visto più spesso e anche se sapessi che la cosa gli faceva male. Sono sempre stato un mostro. Il nonno aveva una bella pensione e una macchina nuova, un’americana con ancora la plastica che ricopriva i sedili; questo me lo ricordo bene perché abbiamo passato tutte le vacanze (che forse era solo un fine settimana!) le natiche incollate dal sudore alla plastica. Il nonno sconosciuto ha detto che andavamo a La Rochelle. Non mi ricordo più troppo bene e forse non mi aveva molto interessato allora, ma il nonno che lavorava sul porto di Bordeaux, era stato spedito durante la guerra a La Rochelle e voleva mostrarci i luoghi della sua gioventù e la gente incontrata durante i tre o quattro anni passati in questa città. Siamo arrivati alla Punta di Grave che conoscevamo tanto bene e abbiamo preso, per la prima volta, il traghetto per raggiungere la “Francia”. Mi ricordo ancora  della nostra eccitazione sul traghetto, a correre ovunque. Il nonno non diceva niente. La gente non era quella di oggi che è sempre dietro ai bambini. A La Rochelle, mi ricordo di un palazzo bianco con le persiane blu, una pensione di famiglia per i marinai e gli operai. Il nonno conosceva la proprietaria. Una stanza per il nonno, una per noi. Sognavamo di andare in spiaggia, ma non è mai successo. Il nonno ci trascinava soltanto sul porto industriale alla ricerca dei suoi ricordi, a fare gli umarells, a bazzicare i bar per incontrare vecchie persone che erano docker come lui. A mezzogiorno e alla sera, il nonno ci portava in un piccolo ristorante di quartiere. Mio fratello ordinava sempre quello che era il meno caro sul menù perché la nonna e nostra madre ci avevano detto di non fare troppo spendere; io invece ordinavo sempre quello che era il più costoso e, mentre mio fratello mangiava sardine alla griglia, io prendevo le anguille con il trito d’aglio e di prezzemolo. Sono sempre stato un mostro. Ma nell’insieme, in “Francia”, mangiavamo le stesse schifezze che mangiavamo già a Bordeaux. Fuori dai suoi ricordi, il nonno non parlava. Una notte, siamo stati svegliati dai suoi gemiti in provenienza dalla camera accanto. Abbiamo spinto la porta. Il nonno giaceva sul letto, la flanella bagnata fradicio. Tremava, tremava tanto che aveva delle convulsioni. Faceva dei salti sul letto. Sudava e diceva di essere ghiacciato dentro. Non sapevamo cosa fare. Pensate che eravamo ancora alle elementari! Abbiamo bussato alla porta della proprietaria per chiedere aiuto. Quando lei ha visto la scena, ha detto che ci voleva trovare nella valigia del vecchio, il chinino. Il nonno sta morendo? ho chiesto freddamente. Sono sempre stato un mostro. No, ha detto la proprietaria, è un attacco di malaria. Non vi preoccupate, bambini. Sono abituata con tutti questi marinai del porto. Il vostro nonno ha probabilmente preso la malaria in Africa, in Marocco o altrove durante il suo servizio militare. Sempre la stessa storia. La donna ci ha detto di tornare a letto che lei si occupava di tutto. L’indomani, il nonno sembrava in forma e nel pomeriggio siamo tornati verso Royan per prendere il traghetto e tornare a casa e mi ricordo ancora della prima cosa che mia madre e la nonna ci hanno chiesto: Allora questo viaggio in “Francia”?…..   

Francesi, popolo di edificatori di cairn!

I francesi non assomigliano per niente ai celti che popolavano tutta l’Europa mille anni avanti Cristo. I civilizzatissimi galli non sono gli antenati dei francesi perché i celti non hanno mai e poi mai costruito qualcosa in pietra. D’altronde, basta scendere su una spiaggia dell’isola di Ré o dell’isola d’Oléron e osservare la frenesia con cui il turista francese edifica il suo cairn, per capire che il suo antenato, lungi da essere un gallo, era un uomo del neolitico che viveva su quel lembo di terra all’ovest dell’Europa cinque mille anni prima i galli. 😉 

La Rochelle: Il canto della cipolla!

Non lontano da La Rochelle, l’anno scorso, vi ho portato sull’isola d’Aix dove La paglia al naso ha trascorso i suoi ultimi giorni in Francia prima di essere spedito dagli inglesi sull’isola di Sant’Elena per crepare, in silenzio, della sua ulcera allo stomaco. Non so perché molti dei miei concittadini hanno questo vizio delle rievocazioni storiche e questo gusto di travestirsi in soldati della vecchia guardia del mangiatore di figatelli. Mistero. Comunque è difficile in Francia di scappare a Napoleone in estate – come in Italia è difficile di evitare le rievocazioni medievali e gli italiani in collant – Quindi sono sul sagrato della chiesa Saint-Sauveur ad assistere a un esercizio di virtuosità dei tamburini e dei pifferai dell’esercito di La paglia al naso. Tra due movimenti, il vecchio maresciallo spiega al pubblico a cosa corrisponde ogni rullo di tamburo nello svolgimento della battaglia. ad un certo punto, loro suonano qualcosa che riconosco subito. Il maresciallo chiede se qualcuno avesse un’idea del titolo della marcia militare. Silenzio. Non riesco a resistere ad aprire la mia fottuta bocca: Facile, colonnello! mi esclamo. Non è affatto una marcia militare, è una filastrocca per bambini! Ho riconosciuto il ritornello, la canzone si chiama: Ho perso il do del mio clarinetto. Non vi dico, cretino come sono, lo sforzo che devo fare per non mettermi a cantare il ritornello davanti alla truppa, là sul sagrato della chiesa Saint-Sauveur sul porto di La Rochelle: Al passo camerati, al passo camerati, al passo, al passo, al passo…. Il maresciallo mi guarda – nonché tutta la gente – come se fossi questo miserabile Blücher. Ma cosa ho detto come stupidaggine che sembrano volere fucilarmi? Passano alcuni secondi come se fossero ore per me, poi il maresciallo si mette a ridere francamente. No, non è: Ho perso il do del mio clarinetto anche se il ritornello è lo stesso. Questa marcia si chiama: il canto della cipolla ed è al suono di questo canto che Napoleone e i suoi granatieri hanno conquistato l’Europa. Appena i nemici sentivano il canto della Cipolla che scappavano – probabilmente l’alito dell’esercito, penso, senza osare intervenire di nuovo. Il maresciallo prosegue: secondo la leggenda, il canto è nato prima la vittoria alla battaglia di Marengo quando Napoleone si accorse che i suoi granatieri strofinavano cipolle sul loro pane prima l’assalto. Il divino Imperatore ha allora chiesto: Cazzo, ma cosa state strofinando sul vostro pane? Cipolla, generalissimo! Ah, non c’è niente di meglio per marciare di un buon passo sulla via della Gloria! ha risposto il divino Imperatore – è tutta un’invenzione, penso, come se l’aiaccino fosse capace di fare una frase così complicata. Ora, dice il maresciallo, sfiliamo verso la torre della Lanterna e nelle vie del porto suonando il canto della cipolla. Seguo la fanfara nelle vie di La Rochelle con il pubblico e mi diverto un sacco. Da allora, non posso più togliermi questo fottuto ritornello della canzone: Ho perso il do del mio clarinetto, che avevo imparato, bambino, a scuola! La vendetta della Paglia al naso! Al passo camerati, al passo camerati, al passo, al passo, al passo….

Cliccate lo scatto se volete sentire la musica e le parole del napoleonico Canto della Cipolla che pensavo fosse la musica della filastrocca per bambini: Ho perso il do del mio clarinetto.

Mi piace la cipolla fritta in olio,

Mi piace la cipolla perché è buona.

Mi piace la cipolla fritta in olio,

Mi piace la cipolla, mi piace la cipolla.

Ritornello

Al passo camerati, al passo camerati,

al passo, al passo, al passo.

Al passo camerati, al passo camerati,

al passo, al passo, al passo.

Ritornello

Una singola cipolla fritta in olio,

Una singola cipolla ci trasforma in Leone,

Una singola cipolla fritta in olio,

Una sola cipolla una sola cipolla

Ritornello

Ma nessuna cipolla agli austriaci,

Niente cipolle per tutti questi cani,

Ma nessuna cipolla agli austriaci,

Niente cipolle, niente cipolle.

Ritornello

Amiamo la cipolla fritta in olio,

Amiamo la cipolla perché è buona,

Amiamo la cipolla fritta in olio,

Amiamo la cipolla, amiamo la cipolla

Ritornello

In cui l’autore di questo blog sente parlare di Matteo Renzi a La Rochelle!

Dietro l’università, stavo ammirando il tramonto sull’Oceano quando ho colto al volo questo breve pezzo di discussione tra due studentesse:

Studentessa 1: Allora, dimmi, cosa vorresti per il tuo compleanno? Cosa ti farebbe piacere che stiamo facendo una piccola colletta con gli amici del T.D (Lavori Guidati)?

Studentessa 2: Oh, a me farebbe piacere da morire una maglietta con la foto di Matteo Renzi e sotto scritto in grande: CHICHE!!! (SCOMMETTIAMO!!!).

Non so ancora come sono riuscito a trattenere una risata pensando che il tizio ha più fan a La Rochelle che in Italia  🙂 🙂 🙂 🙂

Teaser: Viaggio di un bordolese nei Paesi gabache.

Melusina è la fata maggiore dei Paesi delle Charente, la maga di Lusignano. E, se volete, vi racconterò la storia di questa fata. Tra i poteri di Melusina, una volta, gli abitanti di quei Paesi pensavano che tutti gli edifici antichi: i tempi, gli acquedotti, i circhi romani, le chiese, i torri di La Rochelle, le fontane, i castelli, le case…Insomma tutte queste costruzioni di cui gli uomini non sapevano spiegare l’origine, erano opere di Melusina. Secondo la leggenda, ogni volta che Melusina era sorpresa da qualche contadino, di notte, volando nel cielo trasportando le sue pietre di costruzione, il suo vestito di lino e di pizzo si slegava e il materiale di costruzione cadeva a terra formando un nuovo edificio.

Gabacho è una parola spagnola per designare dispregiativamente un francese, qualcuno che viene dal Nord, di là dei Pirenei. Nel guascone del Médoc che parlavano, una volta, i nostri nonni, gabache aveva lo stesso senso che in spagnolo ed era una parola dispregiativa per designare quelli che parlavano francese, quelli del Nord, sull’altra riva del fiume sopra la città di Blaye, in quella regione di fronte al Médoc che si chiama la Saintonge. Per me, gabache, non è una parola negativa, la uso, tra me e me, per designare gli abitanti della Charente, della Charente marittima e del Poitou. Poi, una prova che i tempi sono cambiati, è che ho trascorso una settimana di vacanze in Charente-marittima a La Rochelle; se non è una prova questa che non ho di pregiudizio contro i gabache! Spero, cari lettori e care lettrici, che sarete interessati di scoprire con me, attraverso una serie di post, quello che chiamo i Paesi gabache.