
Non so come sono riusciti a salire questi tubi in acciaio ed a piantarli in cima al piquey*. Intorno ai tubi c’è una larga scala di legno che permette di raggiungere la zattera sostenuta dai tubi di acciaio e da cavi tesi e arrotolati tra tre pini centenari. La torre di osservazione è invisibile dentro la pineta e se non ci fosse questa minuscola traccia che ci si porta, simile a una piccola graffia sulla garbaye*, potreste passare davanti senza vedere la struttura. Una volta che siete sulla zattera, sovrastate un paesaggio tipico delle lande del Médoc: stagni, lagune, pinete coltivate, piquey ad ovest che vi impediscono di vedere l’oceano, distese di molinia caerulea tutte secche che fanno pensare a qualche savana africana. Mentre sto leggendo un libro pieno di vecchie parole medocchine in un angolo della zattera, sento un trunte* ai piedi del piquey nel baren* tra i carex taglienti come rasoi e le vecchie querce, un cinghiale oppure un tasso, penso. L’animale sembra salire il piquey, un sapiens sapiens allora, mi dico; un fottuto sapiens che viene a scocciarmi anche alla fine della terra. L’uomo è vestito come per un safari, a me fa pensare un po’ al personaggio di Tartarino di Tarascona di Alphonse Daudet. Ci diamo il buongiorno. Buongiorno signor, lui dice gioiosamente. Addio signor, rispondo come lo farebbe mia madre. L’uomo trascina un grosso zaino e ne tira fuori tutta un’attrezzatura fotografica degna di un fotografo naturalista professionista, sistema il treppiede, monta il suo teleobiettivo mimetico sulla sua macchina fotografica, si siede sul suo seggiolino pieghevole e si mette ad osservare lo stagno nel mirino della sua macchina diabolica. Sto pensando: non è la buona ora e la buona stagione, le gru cenerine torneranno allo stagno solo alla stagione dei porcini, in autunno; ma cosa lui pensa scattare tranne due anatre, quattro folaghe e una coppia di cigni? Poi vedo qualcosa che non avevo mai visto prima sopra la savana che circonda lo stagno, un’aquila Jean-Le-Blanc che gioca nei correnti ascensionali e si libra su di noi senza mai battere un’ala. Immagino già il Jean-Le-Blanc fare una picchiata a una velocità pazza per afferrare con i suoi artigli un serpente. Sarebbe un peccato che il pec* che si è trascinato una tonnellata di materiale fotografico non possa almeno scattarlo. Signor? chiedo. L’uomo abbandona il mirino della sua macchina per girarsi verso di me. Gli indico, alzando gli occhi verso i cieli del Médoc, il Jean-Le-Blanc. Oh grazie! Ma non sono interessato dagli uccelli, sono venuto allo stagno per scattare le lontre! Eh, il tizio deve pensare che il Jean-Le-Blanc è un semplice bidòc!* Ma non oso dire qualcosa, sono troppo educato per questo e anche per chiedergli di questa storia inverosimile di lontre che si farebbero vedere in pieno pomeriggio! L’uomo torna a osservare lo stagno ed io il Jean-Le-Blanc nei cieli del Médoc. Poi, l’uomo si agita e si mette a scattare freneticamente qualcosa sullo stagno. Deve essere le sue famose lontre. Ora, il pec vuole che guardo anche io nel mirino. Lei vede le lontre che stanno giocando in mezzo allo stagno? Il coso è tanto possente che vedo anche le loro pulci! rispondo. Che meraviglioso spettacolo, no? Non oso dire qualcosa, sono troppo educato per questo e non vorrei rovinargli la giornata, ma le sue lontre sono quattro nutrie che si divertono a ciampugliare* tra le canne. Una volta, il fotografo naturalista andato via, mi dico che ho meno di venti minuti ora per sperare vedere una picchiata del Jean-Le-Blanc, ma non succede ovviamente e, non posso aspettare di più senza rischiare di essere divorato dalle zanzare del baren che probabilmente hanno già smesso di dormire…..
* parole di guascone marittimo (piquey/duna; garbaye/tappetto di aghi di pino; trunte/rumore; baren/ zona umida tra due dune; pec/pazzo; un bidòc/una poiana; sciampugliare trascrizione fonetica del verbo champolhar (sguazzare).