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Eugène Atget, il fotografo che catturò tutta Parigi in 10000 scatti.

Cabaret au petit Dunkerque, 3 quai Conti. Parigi. La stampa rispecchia forse l’immagine fantomatica del fotografo Eugène Atget.

La tranquilla cittadina di Libourne è alla confluenza di due fiumi, la Dordogna e l’Isle, dal carattere ancora più indolente di quello della cittadina. Niente a che vedere con la carriera agitata ed erratica di uno dei suoi figli più famosi, Eugène Atget, il padre della fotografia moderna. In cima alla collina, dentro la vecchia cappella gli è stata dedicata una piccola mostra con tanti cartelli nelle vie del paese per annunciare l’evento. In una vetrina, tra diversi documenti, provo a decifrare la pagine di un quaderno mezzo bruciato dello Stato Civile; la scrittura è tipica del francese dell’ottocento cioè completamente geroglifico per un francese come me che non ha l’abitudine di leggere qualcosa in corsivo di una volta e che è già mezzo cieco. Comunque riesco a leggere che il bambino è nato il 12 febbraio 1857, poi segue un po’ della vita dei genitori, il padre è carrozziere e la madre non lavora. Non si sa molto di più della prima parte della vita di Eugène Atget, il padre muore quando il bambino ha cinque anni e l’orfano è affidato ai nonni materni che vivono a Bordeaux nel quartiere di La Bastide sulla riva destra della garonna. L’adolescenza di Atget non è diversa di quella di un ragazzo di Bordeaux di allora: lavori portuali e ingaggio nella marina mercante Poi, nel 1878, Atget, appassionato di teatro e che si sogna attore, decide di cambiare di vita e di cercare fortuna a Parigi, “salire a Parigi” – come si dice in francese – per tentare il concorso d’ingresso al conservatorio di musica e di arti drammatiche. La sua carriera di attore non raggiungerà mai il firmamento nonché il suo tentativo di diventare pittore. Insomma a Parigi Eugène Atget e la moglie, attrice incontrata sul palcoscenico, faticano a sbarcare il lunario e la coppia squattrinata fa parte di una compagnia che setaccia i teatri di terza categoria della regione parigina. Nel 1887, Eugène Atget è colpito da un’affezione alle corde vocali che lo costringe ad abbandonare il suo mestiere di attore. Nel 1890, Atget si sistema rue Campagne-première nel quartiere Montparnasse e diventa fotografo per fornire delle documentazioni ai pittori, artigiani, decoratori, architetti, storici,  istituzioni pubbliche in particolare il museo Carnavalet che gli comprerà migliaia e migliaia di stampe nel corso degli anni. Oltre i musei, i suoi clienti più famosi saranno i pittori Foujita, Derain e Utrillo. Atget inizia la sua attività proponendo foto di fiori, di parchi e giardini, di paesaggi, monumenti, riproduzioni di quadri, curiosità, oggetti pittoreschi…ecc. Devo scrivere due parole sul modo di lavorare di Atget, il suo  lavoro è sempre organizzato in serie tematiche, per fare un esempio possiamo citare la serie  Arte nel vecchio Parigi che raggruppa diverse categorie e sottocategorie: Balconi, porte, picchiotti, camini, scale, ringhiere, oggetti in ferro battuto….ecc. Il metodo è scientifico – anche se Atget ha posseduto durante trent’anni solo un antica e pesantissima stenoscopia già fuori moda da anni all’inizio della sua carriera di fotografo – cioè  scattava la foto con il suo contesto come si fa ancora oggi nel campo dell’archeologia, il contesto è tutto quello che riguarda l’ambiente intorno all’oggetto. Per esempio per la categoria che riguarda  i picchiotti, uno scatto per il picchiotto, un altro per  la porta dove è fissato il picchiotto, poi fotografava anche il muro  intorno alla porta, la facciata del palazzo e la posizione del palazzo nella via. Poi, a partire da queste serie, Atget crea degli albumi che sono commercializzati oppure sono i clienti di Atget che gli chiedono delle serie, certo che un pittore della fine dell’ottocento doveva essere più interessato da una serie sulla prostituzione o le case di tolleranza che per una serie sui picchiotti piuttosto destinata ai musei.

Se volete vedere più foto, potete cliccare QUI per accedere alla collezione Atget del museo Carnavalet.

Ora che abbiamo visto il suo modo di lavorare, torniamo al progetto ideato da Eugène Atget che è molto più ambizioso di quello di essere un semplice fotografo di documentazione come ce n’erano tanti allora. Il suo progetto è Parigi  e più precisamente la vecchia Parigi, la Parigi medievale che sta scomparendo a vista d’occhio sotto gli assalti di una modernizzazione frenetica. Eugène Atget vuole catturare le ultime scosse di un vecchio mondo che sta morendo, fissarne la memoria grazie ai suoi scatti. Quindi Atget, oltre ai monumenti, alle chiese, ai palazzi, applica il suo metodo delle serie ad assolutamente tutto: i piccoli mestieri di strada, i “gridi” come venivano chiamati per il loro modo di interpellare i clienti; le mostre di merci, le bancarelle, i passaggi, le botteghe, i vicoli stretti, le vetture a cavalli, gli abitanti della zona cioè i miserabili cacciati già dalla gentrificazione che campavano in baraccopoli  tra le banlieue e le fortificazioni, gli zingari, gli straccivendoli….ecc. Per catturare questo fine di un mondo all’inizio del secolo nuovo, Eugène Atget solca instancabilmente le vie della città con la sua vecchia camera nera, metodicamente, settore dopo settore, quartiere dopo quartiere, fermandosi per scattare un cantiere di demolizione di antichi palazzi, poi tornando per scattare i mutamenti. Così Atget inizia la sua serie “Topografia” dal quartiere del Palais Royal, poi attraversa la Senna per seguire le trasformazioni intorno a Place Maubert e a rue Mouffetard che sono il vero cuore storico e palpitante di Parigi, fotografa il Jardin des Plantes nonché la Montagne Sainte-Geneviève. Tra il 1910 e il 1912, fotografa i quartieri del faubourg Saint-Germain, di Saint-Sulpice, di l’Odéon, del Marais, di Saint-Germain-des-Prés e di Saint-André-des-Arts. Durante quel periodo testimonia fotograficamente delle demolizioni che stravolgono il Quartier Latin. A partire dal 1912, finisce la sua serie fotografando il quartiere Saint-Séverin e allargando il suo campo di investigazione ai capannoni di Bercy, al parco Delessert, al couvent des Carmes, poi se ne torna per fotografare l’île-Saint-Louis. Alla fine della sua vita, Atget che muore nel 1927 possiede una collezione documentaria esaustiva di dieci mille scatti  della vecchia Parigi e dei suoi abitanti. Ora, facciamoci una domanda: Come le serie fotografiche di Atget sulla vecchia Parigi  hanno fatto per uscire dal cenacolo ristretto a cui erano destinate? Perché non hanno fatto la fine di tante altre collezioni fotografiche che giacciono nelle cantine marce dei musei parigini? So che il post è lungo, ma vi ricordate forse che Eugène Atget e la moglie abitavano rue Campagne-première nel quartiere di Montparnasse. E bene, figuratevi che il loro vicino di casa era il pittore e fotografo surrealista americano  Man Ray che si appassiona per il suo lavoro nonché la sua assistente Berenice Abbott. Man Ray fa l’acquisto di quaranta stampe di cui quattro sono pubblicate nel 1926 nel numero del 15 giugno della rivista di André Breton, Révolution surréaliste. Diciamo che quando le vostre foto insieme a delle opere di Chirico, Picasso, Ernst sono scelte per illustrare dei testi, la vostra stella di fotografo splende al firmamento. La prima foto di Atget, quella più conosciuta sicuramente, è in copertina e si chiama: Durante l’eclissi. Ci si vede una folla su un marciapiede di Parigi che sta guardando l’eclissi. La didascalia sotto la foto nella rivista di Breton diventa: le nuove conversioni; un’altra foto illustrando un testo è la vetrina di un negozio di corsetteria, ce ne una di uno paravento, e l’ultima è quella di una prostituta davanti a una casa di tolleranza, sul marciapiede in un angolo che forma il palazzo. La foto è intitolata dai surrealisti: Versailles ! Tra l’assistente di Man Ray, Berenice Abbott e il vecchio fotografo nasce una forte amicizia e, dopo la sua morte, la Abbott compra 1500 negativi e 10000 stampe che non interessano i musei parigini  e che partano con lei per gli Stati Uniti. Per quarant’anni, lei si dedica a fare conoscere l’opera di Atget che avrà una forte influenza sui fotografi americani in particolare Walker Evans e Lee Friedlander. Nel 1968, la collezione Atget è venduta al Museum of Modern Art di New York. Ecco tutto quello che potevo dirvi su Eugène Atget, un fotografo che ha catturato l’anima dell’antica Parigi in dieci mille scatti.                   

Gironda: Una domenica pomeriggio a Sauternes! V parte.

Il Ciron nasce sulla riva sinistra della Garonna, è un piccolo fiume dalle acque limpide. Inizia la sua vita sgorgando e mormorando nel silenzio delle lagune perse delle lande di Guascogna. Scorre mordoré  in mezzo a una valle ridente, sul letto di sabbia di un antico oceano, ai piedi di sponde regolari oppure di dune sabbiose. Sfiora il dipartimento del Lot-et-e Garonne, ma non osa penetrare troppo avanti in queste terre che non appartengono alle lande. Lo aggira e preferisce varcare il confine della dolce Gironda. Scorre indolente. Non è un fiume cittadino. Evita la citta di Bazas, non butta nemmeno uno sguardo a sinistra a Préchac oppure a Uzeste a destra. Ama la storia e bagna la cittadina di Villandraut e scorre a due passi dell’antico castello di Budos. Costeggia il paese di Sauternes e regala ai viticoltori di questo paese pieno di sole, delle rugiade mattutine e delle nebbie serali che fanno nascere la muffa nobile sull’uva; senza il Ciron non ci sono i vini  muffati di Sauternes e di Barsac e gli uomini della vallata si prosternano davanti al piccolo fiume landese come se fosse qualche divinità. Il fiume ha percorso quasi novanta chilometri e gli resta un ultimo sforzo per sfociare nella Garonna, tra Preignac e Barsac, e mescolarsi con le acque dolci ed oceaniche del fiume bordolese. Nel paese di Sauternes se sei seduto sulla riva del Ciron, a fare un picnic in mezzo a una foresta profonda di ontani e di faggi, non lontano da un vecchio mulino oppure a prossimità di un ponte, e che vedi passare cavallerizzi nel letto del fiume, tutto è normale. Uscire dalla foresta per un cavallerizzo e rischiare di attraversare la piccola strada provinciale che porta da Budos a Sauternes, è come giocare alla roulette russa. Quindi senza il Ciron non ci sarebbero i vini muffati di Sauternes, ma non ci sarebbero nemmeno più gli amanti  degli sport equestri tanto gli abitanti di Sauternes guidano a tutta birra!


P.S : Pour Marion :

Le Ciron naît à l’ouest de la Garonne, c’est un petit fleuve aux eaux claires. Il commence sa vie sourdant et marmonnant dans le silence des lagunes perdues des landes de Gascogne. Il court, mordoré, au milieu d’une vallée riante, sur le lit de sable d’un vieil océan, au pied de rivages réguliers ou le long de dunes de sable. Il effleure le Lot-et-Garonne, mais sans oser pénétrer dans ces terres qui ne sont plus landaises. Il en fait le tour et préfère franchir la frontière de la douce Gironde. Il s’écoule indolent. Ce n’est pas un fleuve citadin. Il évite Bazas, ne jette pas un regard à Préchac sur sa gauche ou à Uzeste sur sa droite. Il aime l’histoire et baigne la petite ville de Villandraut avant de passer près de l’antique château de Budos. Il longe le pays de Sauternes et offre aux viticulteurs de ce pays de soleil, les rosées matinales et les brumes vespérales qui font naître la pourriture noble sur le raisin ; sans le Ciron, il n’y a pas de vin de Sauternes et de Barsac et les hommes se prosternent devant le petit fleuve landais comme si c’était quelque divinité. Le fleuve a parcouru presque 90 km et il lui reste un dernier effort pour se jeter dans la Garonne, entre Preignac et Barsac, et mélanger ses eaux avec les eaux douces et océaniques du fleuve des bordelais. Dans le pays de Sauternes, si tu es assis au bord du Ciron, à faire un pic-nique au milieu d’une forêt profonde d’aulnes et de hêtres, pas très loin d’un vieux moulin ou d’un pont, et que tu vois passer des cavaliers dans le lit du fleuve, c’est normal. Sortir de la forêt pour un cavalier et risquer de traverser la petite route départementale entre Budos et Sauternes, c’est comme jouer à la roulette Russe. Ainsi, sans le Ciron, il n’y aurait pas le vin de Sauternes, mais il n’y aurait pas non plus aussi les amoureux des sports équestres tellement les habitants de Sauternes roulent à toute berzingue !

Gironda: Una domenica pomeriggio a Sauternes! IV parte.

A due chilometri da Sauternes, il  castello di Budos è detto clementino come il suo gemello di Villandraut, un paesello ad appena una decina di chilometri, ma gli agrumi non c’entrano, piuttosto il Papa Clemente V, nativo di Villandraut, (Bertrand de Got per l’anagrafe), Colui che ha dato una mano al bastardo francese Filippo il Bello per l’arresto dei templari e la spartizione tra loro del gruzzoletto dell’ordine del Tempio. Quindi il castello fu edificato nel 1306 da un tizio chiamato Raymond Guilhem de Budos che era il rampollo di Mathilde, sposa di un tizio di Provenza di cui ho dimenticato il nome, ma che soprattutto era la sorella del Papa Clemente V. L’Aquitania era inglese dai tempi del matrimonio di Eleonora d’Aquitania con Enrico II Plantageneto quindi per mettersi in tasca il nipote del Papa, Il Re d’inghilterra e duca d’Aquitania, Edoardo II Plantageneto, gli diede la signoria di Budos con tutti i diritti di giustizia e reali attinenti. C’era solo una motta castrale a Budos e questo Raymond Guilhem si lamentava e piangeva di non possedere un vero castello; beh, i ricchi hanno sempre la lacrima facile, no? Quindi lo zio del paesello accanto che era stato eletto Papa e che aveva questa mania di fare edificare dei castelli con i soldi della Chiesa un po’ ovunque in Aquitania, decise di viziare il nipote e gli regalò i soldi per costruire il castello di Budos. Sapete come sono gli zii con i nipoti, no? Il castello, quando venite da Sauternes, sorge su un pendio che domina la vallata del fiume Ciron. Ne rimane la cinta rettangolare con le sue quattro torre d’angolo. La fortificazione è circondata da fossati larghi e profondi (anche se oggi non lo sono più come all’origine) preceduti da un barbacane. Non si sa quasi niente di più dal punto di vista architetturale tranne che c’era un torrione al centro della cinta. Ora, siamo nel 1421 e la guerra dei Cent’anni, iniziata nel 1337, finirà nel 1453. Un discendente di Raymond Guilhem, suo pronipote, Bertrand II, ha fiutato che le sorti della Guascogna sono giocate, che presto l’invasor francese, quel bastardo di piccolo Re di Bourges, si impadronirà di Bordeaux e della sua regione, che gli inglesi stanno per abbandonarci ai francesi. Quindi il tizio scommette sul francese, gli vende delle terre, si fa chiamare il “flagello degli inglesi” per fare dimenticare tre secoli di fedeltà della famiglia ai duchi d’Aquitania poi si rinchiude nel suo castello di Budos aspettando l’arrivo dei francesi. Beh, i ricchi fanno delle scommesse, degli investimenti per guadagnare di più, no? La cosa divertente in questo piccolo tradimento è che i bordolesi e altri inglesi non sono troppo d’accordo e inviano la truppa assediare il famoso “flagello degli inglesi ed altri bordolesi”. Le barche scendono la Garonna poi il Ciron ed i bordolesi hanno con loro dei cannoni possenti. Appena i guasconi si mettono ad assediare il castello. Il rampollo dei di Budos alza la bandiera bianca e dà il figlio in ostaggio, il castello e tutto quello che gli è chiesto in cambio della sua vita. Beh, sapete che i soldi, le terre, i castelli, una volta trapassato, non servono molto, no? Tutti questi castelli francesi hanno sempre più o meno la stessa storia. Hanno subito o no la guerra dei Cent’anni, hanno subito o no le guerre di religione oppure la Fronda, poi furono smantellati sotto la rivoluzione per servire di cave di pietra. Il sole splende sopra il paesello di Budos, i trattori solcano le vecchie strade romane, l’ora della vendemmia si avvicina…..


P.S : Pour Marion :

A deux kilomètres de Sauternes, , le château de Budos est dit “clémentin” comme son jumeau de Villandraut, un bled à dix kilomètres de là, mais les clémentines n’ont rien à voir dans cette histoire, plutôt le Pape Clément V, natif de Villandraut (Bertrand de Got pour l’état civil). Celui qui a aidé Philippe le Bel à spolier les templiers puis à se partager le magot avec lui. Donc, le château fut édifié en 1306 par un type appelé Raymond Guilhem de Budos qui était le rejeton de Mathilde, épouse d’un type de Provence dont j’ai oublié le nom, mais aussi soeur de ce Pape Clément V. En ces temps là, l’Aquitaine était anglaise depuis le mariage d’Aliénor d’Aquitaine et d’Henri II Plantagenêt et pour se mettre dans la poche le neveu du Pape, le roi d’Angleterre et duc d’Aquitaine lui donna la seigneurie de Budos ainsi que tous les privilèges de justice et royaux afférents. Il y avait à Budos, seulement une motte castrale et ce Raymond Guilhem ne cessait de pleurnicher et de se lamenter de ne pas avoir un vrai château. Bé, les riches ont toujours la larme à l’oeil pour ce genre de truc, c’est bien connu, n’est-ce pas ? Donc l’oncle du bled de Villandraut, devenu Pape, et qui avait cette marotte de faire édifier des châteaux partout en Aquitaine avec l’argent de l’église, décida de gâter son neveu en lui offrant les fonds pour construire son château. Vous savez bien comment sont les oncles avec les neveux, n’est-ce pas ? Le château, quand vous venez de Sauternes, s’élève sur la pente d’une colline qui domine la vallée du Ciron. Il en reste : l’enceinte rectangulaire avec ses quatre tours d’angle, les fossés qui entourent le château et qui étaient beaucoup plus larges et profonds alors, les fossés sont précédés d’une barbacane. On ne sait pas grand chose d’autre à propos de ce château sauf qu’il y avait un imposant donjon au centre de l’enceinte. Projetons nous en 1421, la guerre de Cent ans, débutée en 1337, finira en 1453. Un descendant de ce Raymond Guilhem, son arrière petit-fils, Bertrand II, sent bien que le sort de la Gascogne est plus ou moins joué, que l’envahisseur français, ce bâtard de petit roi de Bourges (Charles VII), s’emparera un jour ou l’autre de Bordeaux et de sa région, que les anglais sont en train d’abandonner les bordelais. Donc le type parie sur le français, lui vend des terres et se fait appeler le “fléau des anglais” pour faire oublier trois siècle de fidélité de sa famille aux ducs d’Aquitaine, puis se terre dans son château en attendant l’arrivée des français. Bé, les riches font des paris, des investissements pour gagner toujours plus, n’est-ce pas ? La chose amusante dans cette histoire, c’est que cela ne plaît pas du tout aux bordelais e autres anglais qui envoient la troupe assiéger le “fléau des anglais et autres bordelais”. Des barques sont mises à l’eau et descendent la Garonne et le Ciron pour assiéger le traître. Les bordelais ont des canons puissants et à peine commencent-ils le siège que le rejeton des de Budos, hisse le drapeau blanc, donne son fils en otage, son château, ses terres et tout ce que les bordelais demandent. Bé, une fois trépassé toutes vos richesses ne vous servent plus à rien, n’est-ce pas ? Tous ces châteaux ont à peu près toujours la même histoire : ils ont connu la guerre de Cent ans ou pas, les guerres de religion ou pas, la Fronde ou pas. Puis ils ont été démantelé à la révolution Français et ont servi de carrières. Le soleil brille au dessus de Budos, les tracteurs sillonnent les antiques routes romaines, l’heure de la vendange approche…..

Galaverna, una parola latina che ritroviamo in italiano…….

Gujan presso Arcachon, Stanislas Gorin (1824-1874). Biblioteca comunale di Bordeaux.

…. ha dato in guascone e in francese: Galerne. La Galerne è un vento del golfo di Biscaglia che proviene da nord-ovest che appare quasi sempre quando fa molto caldo, le giornate di sole che non finiscono mai, in estate. State tranquillamente sdraiati sulla spiaggia a bruciarvi il culo sotto 45 gradi quando, improvvisamente per colpa del passaggio di un fronte freddo nel Golfo di Biscaglia, le condizioni atmosferiche peggiorano in qualche minuto. Il vento cambia direzione e si mette a soffiare da Ovest o Nord-Ovest con raffiche che possono raggiungere facilmente 100km/h, l’umidità si innalza fino a 100%, le temperature si abbassano di 20 gradi in meno di un quarto d’ora. Non vedete più niente, nemmeno il vostro telo tanto la nebbia è da tagliare con un coltello come si dice in francese, cade questa pioggerella fine e insistente, tipica del Sud-Ovest che si chiama “brousine”. La giornata è guastata! Vi resta solo a cercare l’unico negozio di surf del Paese che vende maglioni in estate. Ma non vi lamentate troppo, pensate agli indigeni della contrada che vivono in un Paese del terzo mondo senza camion dei pompieri, senza canadair, chiusi nelle loro case, pregando affinché la Galerne possa dare una mano contro gli incendi che divorano le loro pinete…..

INCENDIO!

Incendio nelle Landes. 1901. Etienne Mondineu. Museo di belle arti di Agen.

Al tramonto, in cima alla duna bruciante, seduto tra le Immortali, nel silenzio appena disturbato dai versi lontani delle cicale delle pinete ai miei piedi, contemplo l’oceano. Da Nord sta per arrivare sopra di me una gigantesca nuvola d’inchiostro che annega l’orizzonte, la nuvola si apre facendo apparire dei bagliori porpora: Il fuoco. L’incendio ormai è un maremoto, le fiamme si infrangono contro i piedi delle dune, il vento che si è alzato, terribile di complicità, aiuta le fiamme a spazzare di rosso la brughiera ed i corbezzoli, a leccare i tronchi degli alberi assetati; le fiamme si torcono intorno ai rami centenari delle querce da sughero, si arrampicano alla cima dei pini marittimi per ruzzolare in un attimo e ricominciare da una cima all’altra senza mai stancare, in onde rosse e grondanti. Chiudo gli occhi, mi ricordo della nonna che si spaventava per il bestiame quando le pinete bruciavano in estate. Non per gli uomini, ci mancherebbe, perché loro possono sempre fuggire, ma per il bestiame. Mia cara nonna, relitto di un’antica civiltà contadina. Così con gli occhi chiusi, immagino i cavalli dentro le loro scuderie sparse in mezzo alle pinete nella pianura, vedo le loro frogie spalancate, le loro orecchie raddrizzate, posso quasi udire i loro nitriti di terrore. Tutti gli animali della foresta, selvatici o addomesticati, hanno la preveggenza della morte che sta galoppando verso di essi. Immagino la gente che non ha voluto o potuto lasciare la loro casa, circondata dalle fiamme e dalle fumate tossiche, rannicchiata a terra in una posa di terrore, tentando di respirare, pregando che i vigili del fuoco possano raggiungerli prima dell’onda di fuoco. Immagino resti fumanti, corpi ridotti in cenere, la puzza della carne carbonizzata. Apro gli occhi, il paesaggio e tutto il cielo sono neri. L’incendio ha risparmiato la cima della  duna dove mi trovo seduto tra le Immortali. Strofino i fiori delle Immortali e porto le mie dita al naso per respirare il loro profumo di curry. Giallo delle Immortali mentre tutte le lande che mi circondano sono diventate tutte nere. Il maremoto di fuoco galoppa verso Sud. Prego. Se l’incendio varca lo stagno verso l’immensità delle pinete delle lande, allora l’incubo sta solo per iniziare …..