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Médoc e Geografia: L’isola viaggiatrice!

Oronzio Fineo, il famoso matematico francese ma anche geografo, astronomo, cartografo, astrologo, geometra…ecc…pubblicò, tra il 1525 e il 1557, le sue mappe della Gallia che fecero sognare l’Europa intera. Sulla mappa sopra del 1538, possiamo vedere che il Médoc è ancora una microscopica isola in pieno Oceano Atlantico di fronte alla provincia della Saintonge. Bordeaux è in riva a una baia che si apre sull’oceano. La cittadina di Lesparre è una frazione di Bordeaux. La Dordogna non è ancora un affluente della Garonna, ma un fiume parallelo che sfocia nella baia di Bordeaux. Il fiume Gironda non esiste ancora. La città di Blaye è un porto sull’Oceano tra Bordeaux e La Rochelle….

Appena un secolo più tardi, tutto è sconvolto! E la mappa sopra del geografo Pierre Duval ci mostra un’altra realtà. Cos’è successo storicamente tra le due mappe? Semplicemente i medocchini decidessero di lasciare la provincia della Saintonge per quella più ricca della Guascogna. L’isola del Médoc fu messa in moto e, per la prima e unica volta della Storia dell’umanità, un popolo solcò l’Oceano a bordo di un’isola. Tutto andava per il meglio quando all’ingresso della baia di Bordeaux, i freni e il timone dell’isola del Médoc furono resi inutilizzabili per colpa delle potenti correnti oceaniche. Invece di ancorarsi dolcemente nelle dune a Nord di Bordeaux, l’isola ei suoi poveri medocchini si diressero a tutta velocità verso il porto di Bordeaux. Immaginate un po’ il cataclismo biblico quando l’isola si infranse contro il continente. La baia fu scavata lontano verso monte da uno tsunami su più di cento chilometri.  I due fiumi che erano paralleli si raggiunsero e ne formarono un terzo: la Gironda. Le città di Blaye e di Bordeaux saltarono in aria e ricaddero per caso lontano dall’Oceano: miracolosamente tutte le due in riva al fiume Garonna. La cittadina di Lesparre che era in periferia di Bordeaux cadde in questo immenso territorio nuovo emerso dallo scontro tra l’isola del Médoc e il continente e che prese il nome di Médoc. Immaginate un po’ il traumatismo di tutta questa gente di Bordeaux e, pensate che fino all’inizio del ventesimo secolo, nessuno bordolese avrebbe osato avventurarsi a Nord della città, nelle paludi dove iniziava il temuto territorio del Médoc…. 

Bordeaux: L’aiga negra

Stavo osservando un blocco d’ombra grigiastro che l’antico mulino tagliava nell’acqua nera e mi chiedevo: quanti sono i fiumi neri che attraversano Bordeaux per andare a buttarsi nella Garonna? Quante sono le reliquie ei monconi dei mulini che si rizzano sulle sponde dei fiumi neri? Quante battaglie cruente e dimenticate  si sono svolte in due mille anni per impadronirsi della forza motrice dell’acqua dei fiumi neri? quando si è rimesso a piovere. Il sentiero, dilavato dalle piogge continue di quegli ultimi mesi, fa il giro di una duna chiamata ironicamente Arcachon e che ricorda l’Oceano solo per una linea bluastra di pini marittimi che sfugge verso Ovest e la presenza di corbezzoli mingherlini. Ai piedi della duna, durante la stagione fosca, la foresta trasformata in mangrovia è diversa da quella dell’alto. Malefica. Pini rattrappiti e scorbutici divorati dagli insetti; querce giganti morte, sradicate e giacenti attraverso il fiume oppure dritte, ma folgorate e calcinate dai fulmini. Radici di ontani che assomigliano a grossi serpenti morti, bucchi d’acqua e accozzaglia di rami marci che cercano a rompermi una gamba. Eppure, per caso, in questo universo, attraverso una bellissima radura luminosa che sembra essere stata risparmiata dalla pioggia. Una bella insenatura silenziosa con la sua sabbia bianca che fa come la camicia di una giovane sposa. Allora, so che è stato un errore di lasciare il sentiero per scendere fino al fiume nero. Si dice che una volta in queste insenature venivano i contadini, i servi, i mugnai per festeggiare il Sabba e che, al crepuscolo di certe sere, ci si può ancora incontrare lavandaie che lavano il loro oro nell’acqua turbata dei fiumi neri e che vi propongono un pugno di monete d’oro, tutto quello che la  vostra mano può afferrare. Se non sapete resistere alla cupidità, il vostro destino è sigillato: morte per annegamento. Risalgo la duna che sembra una coltre nera di pini marittimi, scivolo mille volte sulla sabbia tutta impregnata d’acqua, mi tengo ai pilastri che sono i pini marittimi per progredire. La duna è varcata. Scendo dall’altra parte fino a ritrovare il sentiero. Un altro mulino più lontano. Il tumulto dell’acqua nera che si infrange contro la chiuse e che ne risale tutta gialla è schiumosa dall’altra parte prima di ridiventare nera dopo una decina di metri. Mi accorgo di qualcosa che si muove sul tetto del mulino accanto al camino. Allora uno che crede alle lavandaie, per forza è persuaso anche che i diavoli vivono nei camini. Quando torno a casa, la pioggia è diluviana. Ripenso alla radura luminosa che ho attraversata mezz’ora fa e all’ombra sul tetto del mulino. Quindi vado a tagliare un bel ramo di alloro nel giardino. La sera, la pioggia è sempre torrenziale. Il giardino è quasi allagato. Al momento di andare a letto, butto il ramo di caccia-diavolo ancora bagnato nel fuoco del camino. Non si sa mai, penso, se qualcuno mi avesse seguito dal mulino. Rido delle mie superstizioni di un altro tempo.