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Gironda: Una domenica pomeriggio a Sauternes! V parte.

Il Ciron nasce sulla riva sinistra della Garonna, è un piccolo fiume dalle acque limpide. Inizia la sua vita sgorgando e mormorando nel silenzio delle lagune perse delle lande di Guascogna. Scorre mordoré  in mezzo a una valle ridente, sul letto di sabbia di un antico oceano, ai piedi di sponde regolari oppure di dune sabbiose. Sfiora il dipartimento del Lot-et-e Garonne, ma non osa penetrare troppo avanti in queste terre che non appartengono alle lande. Lo aggira e preferisce varcare il confine della dolce Gironda. Scorre indolente. Non è un fiume cittadino. Evita la citta di Bazas, non butta nemmeno uno sguardo a sinistra a Préchac oppure a Uzeste a destra. Ama la storia e bagna la cittadina di Villandraut e scorre a due passi dell’antico castello di Budos. Costeggia il paese di Sauternes e regala ai viticoltori di questo paese pieno di sole, delle rugiade mattutine e delle nebbie serali che fanno nascere la muffa nobile sull’uva; senza il Ciron non ci sono i vini  muffati di Sauternes e di Barsac e gli uomini della vallata si prosternano davanti al piccolo fiume landese come se fosse qualche divinità. Il fiume ha percorso quasi novanta chilometri e gli resta un ultimo sforzo per sfociare nella Garonna, tra Preignac e Barsac, e mescolarsi con le acque dolci ed oceaniche del fiume bordolese. Nel paese di Sauternes se sei seduto sulla riva del Ciron, a fare un picnic in mezzo a una foresta profonda di ontani e di faggi, non lontano da un vecchio mulino oppure a prossimità di un ponte, e che vedi passare cavallerizzi nel letto del fiume, tutto è normale. Uscire dalla foresta per un cavallerizzo e rischiare di attraversare la piccola strada provinciale che porta da Budos a Sauternes, è come giocare alla roulette russa. Quindi senza il Ciron non ci sarebbero i vini muffati di Sauternes, ma non ci sarebbero nemmeno più gli amanti  degli sport equestri tanto gli abitanti di Sauternes guidano a tutta birra!


P.S : Pour Marion :

Le Ciron naît à l’ouest de la Garonne, c’est un petit fleuve aux eaux claires. Il commence sa vie sourdant et marmonnant dans le silence des lagunes perdues des landes de Gascogne. Il court, mordoré, au milieu d’une vallée riante, sur le lit de sable d’un vieil océan, au pied de rivages réguliers ou le long de dunes de sable. Il effleure le Lot-et-Garonne, mais sans oser pénétrer dans ces terres qui ne sont plus landaises. Il en fait le tour et préfère franchir la frontière de la douce Gironde. Il s’écoule indolent. Ce n’est pas un fleuve citadin. Il évite Bazas, ne jette pas un regard à Préchac sur sa gauche ou à Uzeste sur sa droite. Il aime l’histoire et baigne la petite ville de Villandraut avant de passer près de l’antique château de Budos. Il longe le pays de Sauternes et offre aux viticulteurs de ce pays de soleil, les rosées matinales et les brumes vespérales qui font naître la pourriture noble sur le raisin ; sans le Ciron, il n’y a pas de vin de Sauternes et de Barsac et les hommes se prosternent devant le petit fleuve landais comme si c’était quelque divinité. Le fleuve a parcouru presque 90 km et il lui reste un dernier effort pour se jeter dans la Garonne, entre Preignac et Barsac, et mélanger ses eaux avec les eaux douces et océaniques du fleuve des bordelais. Dans le pays de Sauternes, si tu es assis au bord du Ciron, à faire un pic-nique au milieu d’une forêt profonde d’aulnes et de hêtres, pas très loin d’un vieux moulin ou d’un pont, et que tu vois passer des cavaliers dans le lit du fleuve, c’est normal. Sortir de la forêt pour un cavalier et risquer de traverser la petite route départementale entre Budos et Sauternes, c’est comme jouer à la roulette Russe. Ainsi, sans le Ciron, il n’y aurait pas le vin de Sauternes, mais il n’y aurait pas non plus aussi les amoureux des sports équestres tellement les habitants de Sauternes roulent à toute berzingue !

Médoc: Un pomeriggio a Margaux e dintorni!

Simile a un Sisifo, instancabilmente, Le acque del fiume convogliano verso Bordeaux i detriti del mondo moderno, le vecchie capanne da pesca su palafitte marciscono: i vecchi non hanno più la forza di mantenerle, i giovani non sono interessati. Una masnada di poiane caccia tra le balle di fieno di un prato; le rondini, inseguono le nuvole di zanzare, sembrano volare erraticamente sopra un maggese eppure sono senza pietà; gli aironi guardabuoi sono appollaiati apaticamente sulle vacche bionde di un campo allagato. Una vecchia coppia, zaino sulle spalle, si sta rimpinzando di susine nella siepe lungo il cammino che costeggia la riva del fiume. Susine da maiali come si dice nella mia famiglia  perché queste susine piacciono solo ai maiali. L’uomo si avvicina a me, lo saluto. Lui mi chiede del prossimo porto perché sono stanchi morti e vorrebbero riposarsi. Cinquecento metri in questa direzione, dico, designando il sud da dove arrivo. Pellegrini di Compostela, noto, vedendo la capasanta sullo zaino della donna. Più tardi quando torno al porto per recuperare la macchina, i due vecchi sono seduti sulla ringhiera dello scalo di alaggio. Tutto bene? chiedo. L’uomo sospira: non abbiamo trovato il porto solo questo prato. Eppure ci siete, dico, è il porto e il seguente sarà esattamente lo stesso. Pensavamo trovare un bar, qualcosa dove avremmo potuto mangiare e bere e invece non c’è niente che questo prato, si lamenta disperata la donna. Pellegrini di Compostela? chiedo retoricamente. Sì, risponde il vecchio, abbiamo voluto dimenticare tutta questa pandemia e abbiamo deciso di fare il pellegrinaggio. La donna sembra stanchissima. Se volete vi porto al rifugio, è la mia macchina là. Esitano, non osano, non vogliono perché devono fare obbligatoriamente il pellegrinaggio a piedi. Va bene, rispondo, come volete, siete adulti dopotutto, ma se mi dite che dovete alloggiare stasera a Macau, sono ancora più di dieci chilometri da percorrere e, credetemi, stasera dormite nella palude tra le zanzare! Mi dirigo verso la macchina quando la signora mi interpella: la prego signor, abbiamo cambiato idea, accettiamo la sua gentile proposta! In macchina mi raccontano che sono partiti dalla città di Saintes dove hanno amici, ma che sono di Marsiglia, che mi sembra la cosa più incredibile del mondo perché hanno un accento del Nord della Francia; il mondo è addirittura sottosopra con questa pandemia, penso. Dicono ancora di aver litigato con il figlio e la nuora che sono opposti alla vaccinazione ed è la ragione per cui hanno deciso di fare questo pellegrinaggio, per togliersi tutta questa merda dalla testa, che, secondo me, non è ancora pronto da succedere visto che, durante tutto il tragitto, mi parlano solo del figlio complottista che ha perso la testa.  Li lascio davanti alla chiesa di Macau e auguro loro un buon proseguimento di pellegrinaggio. Non sanno come ringraziarmi. Niente dico, è normale. Ora devo tornare indietro per ritrovare la strada della casa, è che mi hanno fatto fare una deviazione di dieci chilometri questi mangiatori di susine da maiali! Bah.

Sui moli di Bordeaux.

Talvolta c’è del legno, della tela e del metallo che si attracca sui vecchi moli, allora ti ricordi che questa strada hagnous* e salmastra che separa la città in due, è un fiume e che Bordeaux fu uno dei più grandi porti del mondo. Ti ricordi dei tuoi antenati che imbarcarono per raggiungere Brest e Bougainville e andarono a Tahiti, di quelli che andarono alla caccia alla balena nel Pacifico sud; ti ricordi di quelli che guadagnarono la loro vita facendo commercio di carne umana, ti ricordi di quelli che conquistarono il Canada, di quelli che partirono pescare il merluzzo allo Spitzberg, di quelli che furono marinai nei mari di Cina, di quelli che andarono con Lafayette a lottare per l’indipendenza dell’America, di quelli che furono docker sul porto a rompersi la schiena trasportando la merce, di quelli che furono corsari per i Re di Francia e di quelli, tanti poveri, che facevano naufragare le navi sui banchi di sabbia al largo del Médoc per impadronirsi di tutto fino alle mutande dei marinai. Ti ricordi della nonna che legava le lamprede alla finestra della cucina e le incideva per recuperare il sangue in una ciotola piena di vino, ti ricordi le alose di Pasqua che il nonno comprava a un amico pescatore di Labarde, ti ricordi la pesca alle esquire* in compagnia di un amico dentro una capanna su palafitte in riva al fiume, ti ricordi dell’unico giorno felice passato con il tuo docker di padre che ti aveva  portato a pescare, a otto anni, i granchi. Poi che ti aveva rovinato la serata versando nel tuo piatto di zuppa di granchio per cattiveria un pieno pugno di peperoncini di Cayenna e ti aveva costretto a mangiarla fino all’ultimo cucchiaio. Ti ricordi di tutta questa gente, di tutte queste storie vere o inventate sentite mille volte, di tutte queste cose che hai vissuto in riva a questo fiume. Allora ti ricordi che nelle tue vene scorre la hagne* del fiume e ti viene una di questa malinconia che ti costringe a scappare dai moli per perderti nelle viuzze di Saint-Pierre.  

* hagnous (fangoso, fangosa), hagne (fango), esquire (gamberetti bianchi tipici dell’estuario della Gironda)

Botanica: I fiori della pentecoste.

Avete notato ovunque nelle campagne del Médoc questi fiori stranamente conformati, di colore bianco, rosa o viola, che smaltano con le loro sfumature delicate, i prati, le lagune, le rive dei fiumi, le paludi  e i confini dei boschi? Questi fiori, una volta, venivano semplicemente chiamati dai francesi che hanno la loro logica propria: fiori di pentecoste perché fioriscono durante quel periodo del calendario cristiano dove c’è questa storia di palomba scesa sulla Terra… I botanisti loro che hanno dissotterrato sia l’argomento che il fior di pentecoste (che strano nome! In francese “Pentecôte” suona come pendenza-pendenza), si sono accorti che la radice alla base delle pianta presentava due “tuberi sferici” e gli ipocriti hanno dato il nome greco Orchis al fior di pentecoste perché decisamente la parola “coglioni” è più chic scritta e detta alla greca. Può essere divertente, per esempio, uno di questi fior delle campagne è diventato l’orchis mascula che è subito stato ribattezzato “coglione di prete” dai francesi faceti e osservatori. Quindi gli orchis appartengono alla famiglia delle orchidee. Da noi, gli orchis che si osservano più facilmente sono l’orchis buffone (orchide minore in italiano), il coglione di prete (orchide maschia in italiano, decisamente gli italiani non valgono niente per dare nomi ai fiori!), l’orchis piramidale, l’orchis a fiori molli (orchide acquatica in italiano). Poi, ci sono gli orchis più ricercati dal botanista dilettante, gli ophrys (le ofridi in italiano) i cui fiori rappresentano affettando delle strutture sempre più bizzarre, talvolta un uomo impiccato (la ballerina in italiano!!!), talvolta un’ape, una mosca, un ragno…Quindi il weekend di pentecoste vado a caccia degli orchis e ovviamente con la fortuna che è sempre la mia, riesco ad osservare solo l’orchis “Piscia di capro” (Satyrum hircinum) che non puzza troppo di piscia di capro. Gli orchis sono fiori protetti, ma se volete un’idea di cosa può essere l’odore di piscia di capro in putrefazione, fatevi un bel mazzo di piscia di capro per sistemarlo in salotto. A voi, la vendetta del fior assassinato. Tutti gli orchis, e in particolare l’orchis piscia di capro, esalano un insopportabile odore di ammoniaca. Non esattamente un odore di pentecoste.

Estuario: Dove l’autore di questo blog incontra il Dio Pan!

Mentre cammino lungo il fiume dopo la pioggia, annusando i profumi dei caprifogli che si esalano dall’altra riva, mi proviene alle narici un altro odore. Allora senza vederlo so che è Pan, il Dio di tutta la gente caprina delle lande del Médoc, che sta arrivando con la sua corte. Eccolo! sull’altra riva, il terribile Dio barbuto più puzzolente di tutti i Dei antichi, con il suo mantello colore neve che vi cambierà in un Omero se avete la sfortuna di guardarlo un giorno di sole, con le sue corne a forma di lira mostruosa che non hanno ancora trovato un titano musicista abbastanza coraggioso per legarci delle corde. La corte di Pan resta indietro mentre il Dio di tutta la gente caprina delle lande del Médoc penetra in questo angolo del giardino delle Esperidi. Allora, senza pietà per il caprifoglio, Pan si mette a banchettare senza riprendere fiato, una volta il caprifoglio a terra divorato, Pan si arrampica sulle acacie per degustare il caprifoglio più tenero. Più Pan si ingozza di caprifoglio più il divino Pan ammorba le rive del fiume. Alla fine del banchetto tutta la porzione del giardino delle Esperidi dove si trova Pan, puzza in un modo straordinario e Pan autorizza la sua corte a mangiare i suoi avanzi dirigendosi verso un altro angolo del suo Reame ad ammorbare. Mentre, sull’altra riva,  il Dio di tutta la gente caprina delle lande del Médoc passa alla mia altezza senza uno sguardo per me, mi inchino, non è tanto frequente di potere osservare un Dio.