







La palude prosciugata dagli olandesi, secoli fa, sta riconquistando i vecchi campi ormai abbandonati. Una volpe dal colore dei fiumi bordolesi caccia i topi nelle erbe alte disturbando qualche albanella che scappa ad ali spiegate. Sagome fantasmatiche dei guardabuoi riuniti in parlamento presso uno stagnetto. Più lontano, il cadavere di una nutria che sembra aver saltato su una mina con le zampe posteriori intatte in mezzo al sentiero, a cinque metri dai resti. Opera di qualche Jack lo squartatore volante. Verde fosforescente delle alghe che marciscono sotto il pallido sole di febbraio, paradiso puzzolente del ragno vespa che ci si tesse dei lenzuoli. Due coppie di cicogne volano alto nel cielo verso lo stagno di caccia per andare a canzonare le anatre da richiamo che galleggiano, prigioniere, sulle acque nere. Qui, le cicogne sono più numerose di altrove nei Paesi di Francia, ma sono selvatiche come gli uomini di questa terra, non civilizzate come le loro cugine alsaziane e gli uomini affabili di queste contrade lontane. Allora, ci vuole, senza rumore, varcare la siepe di rovi e la fossa per raggiungere la gobba ed osservare le due coppie di cicogne che pattugliano dall’altra parte sulle rive dello stagno di caccia. Gli stivali slittano sul fango grasso del pendio della gobba. Le braccia si agitano in un movimento disperato e grottesco d’ali per evitare la caduta nella fossa riempita di rami acuti e d’acqua fosca. Una mano afferra un grosso ramo di prugnolo, l’altra un ramo di acacia. Le cicogne hanno sentito il rumore e volano via non senza schernire l’uomo crocifisso sotto di esse nella siepe. Le mani scalfite, l’uomo lascia la palude, il suo sangue gocciola sulla terra nera. Una masnada di poiane lo segue…


