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Estuario: Un giorno al faro di Richard.

L’abarèc può essere un relitto, qualsiasi cosa portata dal mare, un mucchio di cose insomma, ma soprattutto l’abarèc era un diritto ancestrale di proprietà degli abitanti del Médoc su tutte le cose che venivano arenarsi sulle loro coste. I medocchini fino all’inizio del ventesimo secolo facevano naufragare le navi. All’abarèc! si gridava appena si vedeva una vela all’orizzonte. Allora, di notte, la gente del paese costiero dove si era vista la nave, passeggiava sulla riva o in cima alle dune con delle luci attaccate ai colli dei cavalli per ingannare la nave e dirigerla verso un banco di sabbia. Una volta la nave arenata, i medocchini solcavano verso di essa con le loro barche a fondo piatto per saccheggiare e derubare la gente di assolutamente tutto fino alle loro mutande. In una notte, non restava assolutamente niente della nave nemmeno un chiodo (un giorno vi porterò a vedere una chiesa costruita con il legno delle navi saccheggiate). Cosa volete! Il Médoc era un Paese povero e ci si crepava di fame. In inverno, ancora oggi, la gente passeggia in riva per recuperare del legno o delle cose portate dalla marea. Ma siamo i discendenti degenerati di una razza antica e invece di navi da saccheggiare, il mare e il fiume ci regalano come abarèc soltanto detriti della civiltà moderna e cani crepati. Il faro che vedete è quello di Richard a Jau-Dignac e Loirac, un paese in riva al fiume che una volta erano tre paesi sull’isola di Jau in mezzo al fiume. L’estuario è un mondo in perpetuo mutamento: le isole hanno la loro propria vita: nascono, scompaiono, crescono, muovono verso la riva o verso il mare, muoiono. Ai tempi dei romani fino al sedicesimo secolo, c’era l’isola di Jau, oggi l’isola è lontano dentro le terre. Pensate che fino alla metà dell’ottocento non c’era di faro per guidare le navi in questa parte del più grande estuario d’Europa, ma un lucignolo sistemato in cima a un albero. Felice tempo dell’abarèc! Se vi arrampicate in cima al faro, tutte le terre che vedete ad ovest verso l’oceano e al nord verso la bocca del fiume, sono state conquistate sul mare grazie agli olandesi che hanno edificato le dighe, scavato i canali, sistemato un sistema complicatissimo di chiuse che funziona ancora oggi. Era ai tempi del bastardo degli d’Albret, il Borbone puzzolente che si nutriva d’aglio e di vino di Jurançon, l’Enrico IV. Ecco perché chiamo questa zona del Médoc: il paese degli olandesi. Prima degli ingegneri olandesi, c’era la marea due volte al giorno fino a Lesparre e forse anche fino alla soglia di casa mia. Un gruppo di vecchia gente, un club della terza età come si dice, sbarca da un autobus e invade le quattro tavole ai piedi del faro per un picnic. Vado a vedere un pescatore sulla diga, lui mi promette una bella spigola di un mezzo metro. Discutiamo il prezzo e ci mettiamo d’accordo. Poi il pescatore è raggiunto da due altri pescatori che escono da una macchina senza patente. Le macchine senza patente ed i plotoni di ciclisti della domenica sono due altre specialità del Médoc. Quando torno verso le tavole, i vecchi, che hanno l’accento di Bordeaux, stanno litigando perché il panettiere ha dimenticato di dare loro le baguette gratis. Tre baguette comprate, una gratis. Invece di sedici baguette ne hanno soltanto dodici. Ma veramente contavano mangiare sedici baguette!  Va bene, le baguette sono presto dimenticate perché è l’ora dell’aperitivo e del moscato del paese che va bene. Le bottiglie si svuotano ed i vecchi sono come i tordi in settembre nelle viti: un po’ ubriachi. Il sacco di pane giace abbandonato a terra. Comunque i vecchi bordolesi ai panini preferiscono le anguille al barbecue con il trito d’aglio e prezzemolo che fa cuocere il giovane che tiene il chiosco delle bevande dall’altra parte della via. Quindici euro il piatto con il gelato offerto. I vecchi traghettano con le loro bottiglie verso il chiosco per rimpinzarsi d’anguille. Beh, anch’io vado a cercarmi un piatto d’anguille e le mangio seduto sulla diga, che bordolese sarei altrimenti? I vecchi hanno prenotato per salire in cima al faro. Va bene, non più di quattro persone alla volta, ne ho per un momento ad aspettare. Vado a fare un lungo giro sulla diga fino alle vestigia della chiesa edificata su un antico tempio romano. Quando torno ci sono ancora dei vecchi che tentano di arrampicarsi fino alla cima del faro. Dai piedi del faro, sento una vecchia dire a un’altra: Ah certo, la gente sotto avrà una bella vista, non ho messo le mutande stamane! Poi, lei esce sul balcone circolare, mi vede e mi grida: non guardare bandito di drôle (ragazzo)! E le due vecchie scoppiano dal ridere come se fossero adolescenti. Finalmente tutti i vecchi sono saliti; ora, aspettando il ritorno dell’autobus, stanno raccontando delle storie toste accompagnate da un ennesimo bicchiere di moscato. Mi dico che quando sarò vecchio, non mi iscriverò mai a un club di questo tipo: non ho la salute! L’alta marea è passata, il pescatore mi fa un gesto che vuole dire: niente spigola oggi. Sull’altra riva, nel lontano la città di Royan, le falesie di Talmont e il paese troglodito di Meschers. Il paese dei gabache, il continente, la Francia insomma. Non credete alle mappe, il Médoc è un’isola. Va bene è tempo di tornare a casa…

In cui l’autore, prima del terzo lockdown, fa un viaggio fino alla fine del suo Mondo!

Domenica 5 aprile. Confine Nord della penisola del Médoc. Stanno ristrutturando il faro della Punta di Grave. Ci sarà un nuovo spazio museografico nelle due case che affiancano il faro e che non sono affatto antiche come il faro; edifici costruiti dopo la guerra. Il direttore del museo mi dice che, se tutto andrà bene, il faro riaprirà nel 2023. Il giorno prima hanno scoperto una bomba sul cantiere e l’hanno fatta saltare sulla spiaggia in mattinata. Appena si scava, sospira il direttore, troviamo delle bombe. Mi tornano in mente ricordi dell’infanzia intorno a questo faro. Mi vedo ragazzino, seduto su un bunker in cima alla duna, il nonno che mi raccontava della guerra e tutti i dettagli dell’operazione Frankton. Il bunker è sempre allo stesso posto e c’è anche un murales dedicato a quelli dell’operazione Frankton. Rivedo mia madre e mia nonna preparando il picnic sulla duna, tra i pini,  con la veduta sul faro di Cordouan; quante volte abbiamo sognato mio fratello ed io a fare una gita in barca fino al faro! Mi ricordo i bagni e le foreste pietrificate arrivate con le maree e arenate sulla spiaggia. Chiedevo sempre alla nonna: ma a destra, è veramente il fiume? E lei rispondeva: Tanto grande che sembra l’Oceano! Chiedevo ancora: Ma sull’altra riva, di fronte, cosa c’è? E lei rispondeva: “La Francia!” Un giorno, l’altro nonno, quello paterno, aveva telefonato alla nonna materna per chiederle di convincere mia madre di lasciarci con lui per qualche giorno. La colpa del figlio non è quella del padre, ripeteva mia nonna a mia madre. Poi, un giorno mia madre ha ceduto. Non conoscevamo questo nonno. Mio fratello che è sempre stato più aperto di me, gli ha dato subito del tu; io mai, gli ho sempre dato  del lei, anche più tardi quando l’ho visto più spesso e anche se sapessi che la cosa gli faceva male. Sono sempre stato un mostro. Il nonno aveva una bella pensione e una macchina nuova, un’americana con ancora la plastica che ricopriva i sedili; questo me lo ricordo bene perché abbiamo passato tutte le vacanze (che forse era solo un fine settimana!) le natiche incollate dal sudore alla plastica. Il nonno sconosciuto ha detto che andavamo a La Rochelle. Non mi ricordo più troppo bene e forse non mi aveva molto interessato allora, ma il nonno che lavorava sul porto di Bordeaux, era stato spedito durante la guerra a La Rochelle e voleva mostrarci i luoghi della sua gioventù e la gente incontrata durante i tre o quattro anni passati in questa città. Siamo arrivati alla Punta di Grave che conoscevamo tanto bene e abbiamo preso, per la prima volta, il traghetto per raggiungere la “Francia”. Mi ricordo ancora  della nostra eccitazione sul traghetto, a correre ovunque. Il nonno non diceva niente. La gente non era quella di oggi che è sempre dietro ai bambini. A La Rochelle, mi ricordo di un palazzo bianco con le persiane blu, una pensione di famiglia per i marinai e gli operai. Il nonno conosceva la proprietaria. Una stanza per il nonno, una per noi. Sognavamo di andare in spiaggia, ma non è mai successo. Il nonno ci trascinava soltanto sul porto industriale alla ricerca dei suoi ricordi, a fare gli umarells, a bazzicare i bar per incontrare vecchie persone che erano docker come lui. A mezzogiorno e alla sera, il nonno ci portava in un piccolo ristorante di quartiere. Mio fratello ordinava sempre quello che era il meno caro sul menù perché la nonna e nostra madre ci avevano detto di non fare troppo spendere; io invece ordinavo sempre quello che era il più costoso e, mentre mio fratello mangiava sardine alla griglia, io prendevo le anguille con il trito d’aglio e di prezzemolo. Sono sempre stato un mostro. Ma nell’insieme, in “Francia”, mangiavamo le stesse schifezze che mangiavamo già a Bordeaux. Fuori dai suoi ricordi, il nonno non parlava. Una notte, siamo stati svegliati dai suoi gemiti in provenienza dalla camera accanto. Abbiamo spinto la porta. Il nonno giaceva sul letto, la flanella bagnata fradicio. Tremava, tremava tanto che aveva delle convulsioni. Faceva dei salti sul letto. Sudava e diceva di essere ghiacciato dentro. Non sapevamo cosa fare. Pensate che eravamo ancora alle elementari! Abbiamo bussato alla porta della proprietaria per chiedere aiuto. Quando lei ha visto la scena, ha detto che ci voleva trovare nella valigia del vecchio, il chinino. Il nonno sta morendo? ho chiesto freddamente. Sono sempre stato un mostro. No, ha detto la proprietaria, è un attacco di malaria. Non vi preoccupate, bambini. Sono abituata con tutti questi marinai del porto. Il vostro nonno ha probabilmente preso la malaria in Africa, in Marocco o altrove durante il suo servizio militare. Sempre la stessa storia. La donna ci ha detto di tornare a letto che lei si occupava di tutto. L’indomani, il nonno sembrava in forma e nel pomeriggio siamo tornati verso Royan per prendere il traghetto e tornare a casa e mi ricordo ancora della prima cosa che mia madre e la nonna ci hanno chiesto: Allora questo viaggio in “Francia”?…..