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Covid-19: Una notizia della zona non occupata!
La zona di Bordeaux resiste e contiene l’avanzata del Covid-19. Si murmura, ma chissà se è vero, che nel resto del Paese, 46 milioni di concittadini vivono sotto coprifuoco e che la settimana prossima i disgraziati rischiano di nuovo, come la scorsa primavera, il lockdown completo. Altrimenti sul giornale regionale, la notizia che fa più scalpore del Covid-19, è la gallina Caline, che vive in un paesello di Charente-Maritime e che è riuscita a fare un uovo di 101 gr, e tutti di chiederci come ha fatto Caline per realizzare questo exploit storico. Si sorride e il Covid-19 è dimenticato per un momento. Grazie Caline, eroina della Patria!
Lingua francese: L’échauguette di Orlando.
Questo tipo di vedetta, in francese, si chiama una “échauguette”. Da non confondere con la parola francese guérite (garitta) che designa, oggi, una piccola costruzione di legno all’esterno di un edificio e destinata a riparare una sentinella. Una volta, in francese, guérite e échauguette erano sinonimi tranne che échauguette designava esclusivamente una costruzione di legno situata su un luogo elevato, mentre la stessa costruzione in pietra (o anche di legno) si chiamava usualmente una garitta. Quindi oggi è il contrario di ieri e, se fossi un francese de Medioevo, nella foto, vi direi che c’è una garrita, ma siccome sono un francese del ventunesimo secolo, vi dico che, nella foto, c’è un’échauguette e che, decisamente, questa parola pimpante, più della guerra evoca i calzini 😉
Il termine scritto di échauguette si trova per la prima volta nella Canzone di Orlando sotto la forma escalguaite. Etimologia. Basso latino: Scaragaita. dal germanico: Scara (svedese), Schaar (tedesco): truppa, landa, e del verbo francese “guetter”: spiare, guardare, fare la posta, stare in vedetta…ecc.
Li emperere ad prise sa herberge.
Franceis descendent en la tere deserte,
Lur chevals unt toleites les seles,
Les freins a or e metent jus des testes,
Livrent lur prez, asez i ad fresche herbe :
D’altre cunreid ne lur poeent plus faire.
Ki mult est las, il se dort cuntre tere.
Icele noit n’unt unkes escalguaite.
E si ritrasse il Re ne la sua tenda.
Rimontaron fra l’Ebro e Valaterra
i cavallieri, e da gli aurati freni
liberati i cavalli e da le selle,
li abbandonar pei prati che le fresche
erbe offrivano folte a lor pastura;
poi molti, stanchi, giacquero per terra
addormentati. Tanto fu il travaglio
del dí, che niun rimase a le vedette.
Chanson de Roland (CLXXXIII)
La palude dove è nata il sogno di una Nuova Francia!
La Nuova Francia era questo territorio che dal XVI al XVIII secolo si estendeva dal Canada fino alla Florida. Tra il 1632 e il 1763 circa 70.000 francesi partirono per la Nuova Francia e tentarono di trovarci una vita un po’ meno miserabile; una vita tutto semplicemente. Erano quasi tutti francesi dell’Ovest della Francia e d’altronde basta sentire i cognomi dei francofoni canadesi e la loro lingua piena di parole dei parlati dell’Ovest della Francia per essere fissato. La strada provinciale attraversa l’immensa palude che costeggia l’Oceano. Cieli infiniti, uccelli di mare, capanne di allevatori di ostriche e di cozze disseminate lungo i fiumi. L’Oceano non si vede ma si respira, tanto l’odore di salsedine è forte. Dopo una curva della strada, dietro un filare di tamerici, appare una cittadella accecante di bianchezza, è Brouage, il paese natale di Samuel de Champlain, cartografo di Enrico IV, esploratore e fondatore della città di Québec nel 1608. Si può dire che la Storia del Canada è nata in questa cittadina di Brouage, non tutta la Storia ovviamente, ma quella che inizia con i primi anni del seicento, sì. Nel cinquecento, non c’era la palude ed è difficile da immaginare ma Brouage era situata in riva all’Oceano all’ingresso di un golfo che penetrava lontano nelle terre. Brouage nel XVI secolo era il primo porto in Europa per il commercio del sale. Le navi di tutta l’Europa ormeggiavano nel porto di Brouage, poi mettevano in acqua miriadi di piccole barche che andavano a cercare il sale nei paesi delle rive del golfo di Saintonge. Poi, il il golfo di Saintonge, con il passare dei secoli, si è invasato e la gente è andata a coltivare il sale sull isola di Oléron oppure sull’isola di Ré. Camminare nelle vie di Brouage, è come fare un viaggio in Nuova Francia, tanto tutto a Brouage è dedicato al suo più famoso figlio: Samuel de Champlain. Nel 1604, Enrico IV chiede a Pierre Du gua de Mons originario anche lui della Saintonge, di Royan più precisamente) di organizzare una spedizione in Nuova Francia per fondare uno stabilimento in Acadia in cambio del monopolio commerciale. De Mons è accompagnato dal cartografo del Re e esploratore, Samuel de Champlain. I due uomini stabiliscono una piccola colonia sull’isola Sainte-Croix in giugno 1604, poi l’anno seguente a Port-Royal. Riescono a sopravvivere provando ai francesi che la vita è possibile nel Canada. Poi, de Mons perde il monopolio del commercio nel 1607 ei due uomini devono tornare in Francia. Partiranno di nuovo nel 1608, anno in cui de Mons chiederà a de Champlain di fondare Québec.
Inverno 1604. Isola Sainte-Croix. Nuova-Francia. Scrive Samuel de Champlain, fondatore della città di Québec nel 1608, esploratore e cartografo di Enrico IV.
“Durante l’inverno si mise tra alcuni della nostra gente una certa malattia, chiamata male della terra – altrimenti scorbuto – da quello che ho sentito dire dopo da uomini dotti. Si generavano alla bocca di quelli che l’avevano dei grossi pezzi di carne superflua e schiumosa (che causava una grande putrefazione) la quale carne sormontava tanto, che non potevano prendere nessun cosa se non fosse liquida. I loro denti non reggevano quasi più e si poteva strapparli con le mani senza fare loro qualsiasi dolore. Spesso si tagliava loro la superfluità di questa carne che faceva loro sputare molto sangue dalla bocca. Dopo prendeva loro un gran dolore nelle braccia e nelle gambe, le quali rimasero loro, grosse e assai dure, tutte macchiate come dei morsi di pulci, e non potevano camminare a causa della contrazione dei nervi: in tal modo che rimanevano senza forza, e sentivano dolori intollerabili. Avevano dolori anche di reni, di stomaco, e di pancia: una tosse assai brutta, e un fiato corto; per farla breve, erano in uno stato tale, che la maggior parte dei malati non poteva alzarsi, muoversi e, se per caso, riuscivamo a reggerli in piedi, cadevano subito in sincope. In questo modo, dai settantanove che eravamo, ne morì trentacinque e venti ne furono vicino. La maggior parte di quelli che rimasero sani, si lamentavano di piccoli dolori e di un fiato corto. Non potemmo trovare nessun rimedio per la guarigione di queste malattie…”
Estate 1605. Port-Royal. Nuova Francia. Scrive Samuel de Champlain, fondatore della città di Québec nel 1608, esploratore e cartografo di Enrico IV.
“L’estate stava finendo, quando si cominciò ad adoperare il trasloco dell’abitazione di Sainte-Croix. Le barche trasportarono a Port-Royal le case tutte smontate, il materiale militare, i viveri, in modo che restava sull’isola che il magazzino che conteneva una piccola botte di vino e qualche misura di sale che ci furono dimenticate (….) Qualche giorno dopo che le case furono terminate, andai al fiume Saint-Jean, per cercare il selvaggio chiamato Secondon, il quale aveva guidato Prevert alla mina di rame, che avevo già cercata con il signor De Mons, quando fummo al port aux mines, e che ci perdemmo il nostro tempo. Avendo trovato Secondon, lo pregai di venirci con noi: quello che mi accordò molto liberamente: e ce la fece vedere. Ci trovammo alcuni piccoli pezzi di rame dello spessore di un soldo; e altri più spessi incastrati in una ganga pietrosa grigiastra e rossa. Il minatore che era con noi, Maestro Jacques, nativo di Slavonia, uomo ben inteso alla ricerca di minerali fece il giro dei poggi per vedere se potesse trovare della ganga; ma non ne vide. Tranne una specie di mina che se fosse sfruttata, potrebbe rapportare un buon profitto. Però questo risultato sarebbe assai difficile e penoso da raggiungere visto che la marea veniva ricoprire due volte al giorno queste pietre metalliche. Dopo l’aver riconosciuta, tornammo alla nostra abitazione, dove ci trovammo della nostra gente malata del male della terra. Però non così gravemente che nell’isola Sainte-Croix. Ben che dei quarantacinque che eravamo, ne morì dodici di cui il minatore, e cinque malati che guarirono la primavera seguente. Il nostro chirurgo chiamato Deschamps, di Honfleur, uomo esperto nella sua arte, fece aprire qualche corpo per vedere se la malattia fosse diversa di quella che aveva decimata la colonia l’anno precedente sull’isola Sainte-Croix….”
Anno 1608-1609. Québec. Nuova Francia. 28 uomini, 20 muoiono durante l’inverno di Scorbuto e di dissenteria. Scrive Samuel de Champlain, fondatore della città di Québec nel 1608, esploratore e cartografo di Enrico IV.
“le malattie della terra iniziarono a prendere abbastanza tardi, da febbraio alla metà di aprile. Diciotto ne furono colpiti, ne morì dieci; cinque altri di dissenteria. Feci aprire alcuni dei corpi, per vedere se si trattasse della stessa malattia che avevo già vista nelle altre abitazioni; era la stessa. Qualche tempo dopo, il nostro chirurgo morì. Tutto questo ci diede un gran dispiacere per la pena che avevamo messa a tentare di salvarli. Sopra ho descritto la forma di queste malattie. Ora, tengo che provengono dal fatto di mangiare troppo di carne salata e di verdure, che scaldano il sangue e rovinano le parti interne. L’inverno ne è anche la causa che stringe il calore naturale causando una più grande corruzione del sangue; e anche quando la terra è arata, ne esce di certi vapori che ne sono prigionieri i quali infettano l’aria : quello che si è visto per esperienza in quelli che sono stati alle altre abitazioni dopo che il sole ebbe dato sui campi che furono abbandonati, tanto nella nostra abitazione che in altri luoghi, o l’aria era diventata migliore e le malattie non si aspre come prima. Per quello che è del Paese, è bello e piacente, e produce grani e frutti a maturità. Avendoci tutte le specie di alberi che abbiamo nelle nostre foreste, e quantità di frutti, anche selvatici, che non hanno bisogno di essere coltivati come: noci, ciliegi, susini, vigne, lamponi, fragole, ribes, e altri piccoli frutti che sono abbastanza buoni. Ci sono anche delle buone erbe e dei radici. La pesca è molto abbondante nei fiumi che corrono nei prati e la selvaggina è in numero infinito. Dal mese di aprile fino al quindici dicembre, l’aria è sana è buona, tanto che non è possibile di ammalarsi: ma gennaio e febbraio sono pericolosi per le malattie che prendono piuttosto in inverno che in estate, per le ragioni che ho descritte. Perché per il trattamento, tutti quelli che erano con me, erano ben vestiti e dormivano in buoni letti, riscaldati e nutriti con carne salata che avevamo in abbondanza, che secondo me, erano la cause di queste malattie, come ho già detto sopra. Di quello che ho visto la malattia colpisce tanto quello che si tiene delicatamente, e che prende cura di sé, quanto quello che sarà il più miserabile. Abbiamo creduto all’inizio, che c’erano solo i lavoratori colpiti da queste malattie, però abbiamo visto il contrario. Quelli che navigavano verso le Indie Orientali e altre regioni, per esempio verso la Germania o l’Inghilterra erano colpiti allo stesso modo di quelli della Nuova Francia. Da qualche tempo, gli olandesi che erano decimati da questa malattia nei loro viaggi verso le Indie, hanno trovato un rimedio molto singolare che potrebbe guarirci, ma non ne abbiamo la conoscenza per aver trascurato di ricercarlo. Tuttavia, tengo per certo che, avendo del pane e della carne fresca, non saremo più soggetti a questa malattia…”
Estratti tradotti da me dal libro del 1613 di Samuel Champlain: Les voyages du Sieur de Champlain Xaintongeois, capitaine ordinaire pour le Roy, en la marine : divisez en deux livres, ou journal très fidèle des observations faites ès des couvertures de la Nouvelle France, tant en la description des terres, costes, rivières, ports, havres, leurs hauteurs, & plusieurs déclinaisons de la guide-aymant, qu’en la créace des peuples, leur superstition, façon de viure & de guerroyer : enrichi de quantité de figures
La Rochelle: Il canto della cipolla!
Non lontano da La Rochelle, l’anno scorso, vi ho portato sull’isola d’Aix dove La paglia al naso ha trascorso i suoi ultimi giorni in Francia prima di essere spedito dagli inglesi sull’isola di Sant’Elena per crepare, in silenzio, della sua ulcera allo stomaco. Non so perché molti dei miei concittadini hanno questo vizio delle rievocazioni storiche e questo gusto di travestirsi in soldati della vecchia guardia del mangiatore di figatelli. Mistero. Comunque è difficile in Francia di scappare a Napoleone in estate – come in Italia è difficile di evitare le rievocazioni medievali e gli italiani in collant – Quindi sono sul sagrato della chiesa Saint-Sauveur ad assistere a un esercizio di virtuosità dei tamburini e dei pifferai dell’esercito di La paglia al naso. Tra due movimenti, il vecchio maresciallo spiega al pubblico a cosa corrisponde ogni rullo di tamburo nello svolgimento della battaglia. ad un certo punto, loro suonano qualcosa che riconosco subito. Il maresciallo chiede se qualcuno avesse un’idea del titolo della marcia militare. Silenzio. Non riesco a resistere ad aprire la mia fottuta bocca: Facile, colonnello! mi esclamo. Non è affatto una marcia militare, è una filastrocca per bambini! Ho riconosciuto il ritornello, la canzone si chiama: Ho perso il do del mio clarinetto. Non vi dico, cretino come sono, lo sforzo che devo fare per non mettermi a cantare il ritornello davanti alla truppa, là sul sagrato della chiesa Saint-Sauveur sul porto di La Rochelle: Al passo camerati, al passo camerati, al passo, al passo, al passo…. Il maresciallo mi guarda – nonché tutta la gente – come se fossi questo miserabile Blücher. Ma cosa ho detto come stupidaggine che sembrano volere fucilarmi? Passano alcuni secondi come se fossero ore per me, poi il maresciallo si mette a ridere francamente. No, non è: Ho perso il do del mio clarinetto anche se il ritornello è lo stesso. Questa marcia si chiama: il canto della cipolla ed è al suono di questo canto che Napoleone e i suoi granatieri hanno conquistato l’Europa. Appena i nemici sentivano il canto della Cipolla che scappavano – probabilmente l’alito dell’esercito, penso, senza osare intervenire di nuovo. Il maresciallo prosegue: secondo la leggenda, il canto è nato prima la vittoria alla battaglia di Marengo quando Napoleone si accorse che i suoi granatieri strofinavano cipolle sul loro pane prima l’assalto. Il divino Imperatore ha allora chiesto: Cazzo, ma cosa state strofinando sul vostro pane? Cipolla, generalissimo! Ah, non c’è niente di meglio per marciare di un buon passo sulla via della Gloria! ha risposto il divino Imperatore – è tutta un’invenzione, penso, come se l’aiaccino fosse capace di fare una frase così complicata. Ora, dice il maresciallo, sfiliamo verso la torre della Lanterna e nelle vie del porto suonando il canto della cipolla. Seguo la fanfara nelle vie di La Rochelle con il pubblico e mi diverto un sacco. Da allora, non posso più togliermi questo fottuto ritornello della canzone: Ho perso il do del mio clarinetto, che avevo imparato, bambino, a scuola! La vendetta della Paglia al naso! Al passo camerati, al passo camerati, al passo, al passo, al passo….
Cliccate lo scatto se volete sentire la musica e le parole del napoleonico Canto della Cipolla che pensavo fosse la musica della filastrocca per bambini: Ho perso il do del mio clarinetto.
Mi piace la cipolla fritta in olio,
Mi piace la cipolla perché è buona.
Mi piace la cipolla fritta in olio,
Mi piace la cipolla, mi piace la cipolla.
Ritornello
Al passo camerati, al passo camerati,
al passo, al passo, al passo.
Al passo camerati, al passo camerati,
al passo, al passo, al passo.
Ritornello
Una singola cipolla fritta in olio,
Una singola cipolla ci trasforma in Leone,
Una singola cipolla fritta in olio,
Una sola cipolla una sola cipolla
Ritornello
Ma nessuna cipolla agli austriaci,
Niente cipolle per tutti questi cani,
Ma nessuna cipolla agli austriaci,
Niente cipolle, niente cipolle.
Ritornello
Amiamo la cipolla fritta in olio,
Amiamo la cipolla perché è buona,
Amiamo la cipolla fritta in olio,
Amiamo la cipolla, amiamo la cipolla
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