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Bacino di Arcachon: Sulla spiaggia del Betey!

Al Bacino di Arcachon, nell’antico Paese di Buch, sono tutti pazzi. Sulla spiaggia del Betey ad Andernos, osservo un vecchio granchio umano, vestito come ai tempi del suo servizio di leva quarant’anni anni prima, oggi stretto a morte in questa tuta sportiva blu elettrica dell’esercito francese, che sta zigzagando sulla distesa lasciata a nudo a bassa marea. Il vecchio granchio ha un minuscolo cestino in una mano, di quelli che sono sistemati sui manubri delle bici dei bambini di quattro anni, e nell’altra, tiene una vecchia forca, di quelle forche che servivano per pescare le anguille quando le anguille si “raccoglievano” ancora in quel modo. Il vecchio scruta le pozzanghere e la melma, si ferma, lascia il riparo della sottile traccia di sabbia secca per piantare i suoi stivali da pioggia nel fango. Il vecchio allora comincia a rivoltare il terreno come se fosse un volgare campo di patate, ahi! nemmeno una conchiglia da raccogliere, lui scava più profondamente, non è più un campo di patate, ma ora una specie di ricerca petrolifera. Alla fine, il vecchio si inchina per raccogliere qualcosa da mettere dentro il cestino lillipuziano. Il vecchio si appoggia sulla forca per riprendere fiato. Poi, dopo un certo tempo a cuocere immobile sotto questo caldo sole fuori stagione di novembre, si rimette, sotto i miei occhi esterrefatti di medocchino, a zigzagare verso Ovest, verso Arcachon sull’altra riva, ricomincia a scrutare la melma, a rivoltare un quadro di fango con la sua forca, a seminare dei buchi un po’ ovunque sul suo cammino questo vecchio Sisifo di Andernos. Il pomeriggio si passa a leggere un libro su un banco della passeggiata e ad osservare il vecchio pazzo che bucchera il fondo del mare, poi sulla strada del ritorno, mi dico che sarebbe un’idea di fare una deviazione per andare fino ad Audenge e comprare, per la cena, una dozzina di ostriche sul porto.  

INCENDIO!

Incendio nelle Landes. 1901. Etienne Mondineu. Museo di belle arti di Agen.

Al tramonto, in cima alla duna bruciante, seduto tra le Immortali, nel silenzio appena disturbato dai versi lontani delle cicale delle pinete ai miei piedi, contemplo l’oceano. Da Nord sta per arrivare sopra di me una gigantesca nuvola d’inchiostro che annega l’orizzonte, la nuvola si apre facendo apparire dei bagliori porpora: Il fuoco. L’incendio ormai è un maremoto, le fiamme si infrangono contro i piedi delle dune, il vento che si è alzato, terribile di complicità, aiuta le fiamme a spazzare di rosso la brughiera ed i corbezzoli, a leccare i tronchi degli alberi assetati; le fiamme si torcono intorno ai rami centenari delle querce da sughero, si arrampicano alla cima dei pini marittimi per ruzzolare in un attimo e ricominciare da una cima all’altra senza mai stancare, in onde rosse e grondanti. Chiudo gli occhi, mi ricordo della nonna che si spaventava per il bestiame quando le pinete bruciavano in estate. Non per gli uomini, ci mancherebbe, perché loro possono sempre fuggire, ma per il bestiame. Mia cara nonna, relitto di un’antica civiltà contadina. Così con gli occhi chiusi, immagino i cavalli dentro le loro scuderie sparse in mezzo alle pinete nella pianura, vedo le loro frogie spalancate, le loro orecchie raddrizzate, posso quasi udire i loro nitriti di terrore. Tutti gli animali della foresta, selvatici o addomesticati, hanno la preveggenza della morte che sta galoppando verso di essi. Immagino la gente che non ha voluto o potuto lasciare la loro casa, circondata dalle fiamme e dalle fumate tossiche, rannicchiata a terra in una posa di terrore, tentando di respirare, pregando che i vigili del fuoco possano raggiungerli prima dell’onda di fuoco. Immagino resti fumanti, corpi ridotti in cenere, la puzza della carne carbonizzata. Apro gli occhi, il paesaggio e tutto il cielo sono neri. L’incendio ha risparmiato la cima della  duna dove mi trovo seduto tra le Immortali. Strofino i fiori delle Immortali e porto le mie dita al naso per respirare il loro profumo di curry. Giallo delle Immortali mentre tutte le lande che mi circondano sono diventate tutte nere. Il maremoto di fuoco galoppa verso Sud. Prego. Se l’incendio varca lo stagno verso l’immensità delle pinete delle lande, allora l’incubo sta solo per iniziare ….. 

Bacino di Arcachon: sul cammino vietato alle due ruote!

Novembre. Se sentite il ronzio di un gigantesco sciame. Niente, è solo lo sfregamento delle ali di uno stormo di cigni che vi sta passando sopra la testa per raggiungere il suo laghetto preferito. Gennaio. Se vedete una pioggia di cigni. Niente, è solo che siete allo stesso posto e che il vento soffia tanto forte dall’oceano che i cigni volano addirittura indietro, si esauriscono e, alla fine, vi piovono addosso. Se urlate ai cigni che sono uccelli stupidi e che dovrebbero aspettare la fine della tempesta e che i cigni si mettono a ridacchiare. Niente, è solo un modo per farvi notare che state camminando anche voi verso ovest e che essi, almeno, hanno la scusa di seguire il loro istinto. Novembre. Se sentite il rumore di un vecchio motorino Peugeot trascinando una carretta fai da te piena di anatre in gabbie. Niente, è solo un cretino di cacciatore di anatre che raggiunge la sua capanna da caccia per passare la sera a gelarsi il culo presso il suo stagnetto. Se state sognando davanti a tutta la bellezza che vi circonda e che sentite accenti strani ed arrabbiati dietro di voi che vi gridano: pardon! pardon! Niente, sono solo ciclisti cretini che si credono proprietari della diga. Se vedete una tartaruga sul cammino che ha difficoltà ad attraversare per raggiungere l’altra parte. Niente, è solo a causa di questi cretini di turisti  e di cacciatori  che hanno sfregiato il cammino scavando rotaie grandi quanto delle voragini. Se aiutate la tartaruga a varcare la diga trasformata in Everest. Niente è solo un miracolo che la bestiola non sia stata schiacciata da tutte queste ruote assassine. Se volete afferrare a terra un bel grosso ramo di legno e dare una lezione a tutti questi cretini perché le due ruote non hanno il diritto di circolare sulla diga e che ci rinunciate. Niente, è solo che non siete un violento e che le querce non crescono da una parte e l’altra della diga, ma soltanto  tamerici e prugnoli. 

Bacino di Arcachon: A bassa marea!

Quando i bambini sono stanchi di osservare gli chiurli nei prati salati e che ti chiedono: ma il bagno? Quando i bambini sono stanchi di pescare i granchi alla bocca di un estey* e che ti chiedono di nuovo: ma il bagno? Quando i bambini sono stanchi di costruire castelli di sabbia decorati di conchiglie, di rametti di baccharis e di granchi morti e che ti rompono ancora: ma il bagno? È tempo di varcare la gobba* per raggiungere dall’altra parte uno di questi bacini d’acqua di mare che si riempiono ad alta marea grazie a un sistema di cateratte e che permettono di fare il bagno senza dover aspettare il ritorno della marea. Non lo dite ai gestori degli stabilimenti balneari italiani, ne farebbero incubi! Tutto ci è gratis, il wifi, le tavole con gli ombrelloni per il picnic, i corsi di nuoto per i bambini, le docce, i servizi sanitari, la sabbia bianca, i terreni di sport, la palestra all’aria aperta; poi i bagnini ti prestano volentieri un pallone di volley o ti gonfiano una porta da calcio, oppure aiutano i disabili a fare il bagno grazie alle numerose sedie a rotelle per acqua che sono a disposizione. No, il solo coso che devi pagare sono gli churros* alla bancarella perché hai ancora dimenticato di portare qualcosa per la merenda e che i bambini sono affamati. Poi quando finalmente l’alta marea permette di nuovo di fare il bagno sulla riva Est del bacino di Arcachon, i bambini non ne vogliono più sentire parlare del tuo bagno in mezzo agli chiurli dall’altra parte della gobba e nemmeno della tua idea cretina di abbandonare un giorno il bacino di bagno!

*gobba/diga; estey/fiume che sfocia nel Bacino di Arcachon; churros/pastelle fritte e spolverate di zucchero (contate 5 euro per una dozzina di churros).

Bacino di Arcachon: La bellezza della fioritura dello statice limonium!

Cosa possiamo dire sulle lavande di mare che fioriscono a profusione in quel periodo nei prati salati e le rive del bacino di Arcachon? Già che il suo vero nome è lo statice limonium, ma che suona più figo di chiamarlo: lavanda di mare, lillà di mare…ecc. Come possiamo descrivere il nostro statice limonium in due parole? Proviamo: Pianta vivace, robusta, a foglie formando una rosetta intorno allo stelo fiorifero che può raggiungere da 30 a 60 centimetri di altezza. Abbastanza comune, crescendo nei prati salati e le sabbie umide delle rive dell’Oceano Atlantico da Dunkerque fino a Bayonne. Cosa possiamo dire ancora per rendere lo statice limonium meno banale? I numerosi fiori violacei stretti gli uni contro gli altri su degli steli che partono dallo stelo principale si conservano per anni senza perdere troppo i loro colori. Una volta i bambini sprizzanti di salute dei marinai poveri, per farsi un po’ di soldi ne facevano dei mazzi perpetuali che vendevano ai ricchi parigini che venivano ad Arcachon respirare la buona aria balsamica della foresta di Guascogna pensando così guarire della tubercolosi. Ecco è tutto credo che possiamo dire sullo statice limonium. 😉