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Notti insonni!

Nel Médoc, i fiumi sono ridotti a niente, le paludi sono asciugate e screpolate per la prima volta da migliaia di anni, gli alberi assetati nelle foreste crepano, le temperature superano quaranta gradi da settimane e la gente non ricorda nemmeno l’ultima volta che ha piovuto. Le nuvole di zanzare medocchine si sono rifugiate in città, presso gli stadi ed i parchi che continuano ad essere annaffiati come se non ci fosse questa siccità terrificante. Sono apparse, da alcuni anni, zanzare aliene che trasmettono malattie tropicali. La notte devi dormire le finestre chiuse, le zanzare si infiltrano ovunque in casa. Atroce. Il ventilatore deve essere acceso in continuo. Quando lo spegni cinque minuti perché non sopporti più il rumore del coso, ti metti a sudare come un maiale. Sai già che non dormirai della notte. Vai a prendere da bere nel frigo e ti metti, tra due pisciate per colpa di tutta l’acqua bevuta, a leggere nel salotto. Sono le due. I ricci che ti avevano abbandonato in primavera per andare a campare nel bosco dietro casa, non ce la fanno più di questa vita forestale e, affamati, sono tornati nel giardino. Ricominci, la sera, a dare a queste bestiole le crocchette dei gatti. I ricci fanno un baccano del diavolo con la bacinella d’acqua che hai messo per essi. Sono le tre e qualcuno ti maledice dal fondo della casa. Sta urlando la sirena di un camion dei vigili del fuoco che fila sulla strada di Pauillac e preghi che non sia il bosco del comune a bruciare, ma qualcosa più lontano verso Nord. Poi, c’è sempre lo stesso concerto delle civette verso le quattro e mezza. Ora, ti sei addormentato nella poltrona quando un timido capriolo ti bussa alla porta per mendicare una ciotola d’acqua quindi esci per andare a riempire per i caprioli la bacinella rovesciate dai ricci. Sono le sei. Stai per prendere una doccia e sorridi di questi coglioni del governo che ti hanno chiesto di pisciare sotto la doccia per risparmiare la risorsa. Qualcuno ti maledice di nuovo dal fondo della casa, ma la voce è coperta dal rumore del primo elicottero dei vigili del fuoco. Una nuova giornata da zombie sta per iniziare.

Estuario: La leggenda del pettirosso!

Appena esci di casa per lavorare in giardino, c’è sempre un pettirosso per seguirti ovunque; guardandoti da vicino appollaiato sul tuo innaffiatoio o sul tuo rastrello, aspettando che tu gli procuri qualche vermiciattolo. Il pettirosso crede nella tua bontà e si fida di te, mentre stai diserbando, il pettirosso si avvicinerà alla tua mano fino a toccarla come per dire: Dai, facciamo amicizia! Se mangi sulla terrazza o in cucina con la finestra spalancata, il pettirosso accompagnerà tutta la tua cena dal suo canto lamentoso. In inverno, il pettirosso sarà alla tua finestra e ti chiederà qualche briciola di pane tanto esso crede nella tua generosità e quasi lo inviteresti a condividere il caldo del tuo salotto se non ci fosse, ahi, questo cattivo gatto davanti al camino. C’è una leggenda nel Médoc che racconta perché il pettirosso ha il petto rosso. Figuratevi, cari lettori e care lettrici che, all’inizio del Mondo, il pettirosso non assomigliava per niente a quello che vediamo oggi. Il pettirosso, come tutti gli altri uccelli della creazione, era grigio. Gli uccelli erano tutti brutti, rattrappiti, le loro piume non li proteggevano dal freddo e dalla pioggia. Gli uccelli erano tristi e non cantavano molto in primavera. D’altronde non c’era né primavera né d’estate all’inizio del Mondo nel Médoc. Pioveva quasi sempre e, quando non pioveva, il sole non riusciva a filtrare la coltre delle nuvole. Gli uccelli erano sempre bagnati. Avevano freddo. Erano miserabili. Morivano per colpa delle malattie e dei pidocchi. Un giorno, gli uccelli radunarono un’assemblea dove erano presente tutte le razze degli uccelli del Médoc. Il più vecchio uccello di questo Mondo primordiale che era un corvo disse: “La nostra vita non può proseguire in quel modo, ci vorrebbe che l’uno di noi possa volare verso il sole, che voli più alto della coltre delle nuvole, il più alto possibile, così potrebbe catturare un raggio di sole e portarci il caldo. Allora, il più piccolo degli uccelli del Médoc primordiale, lo scricciolo, si portò avanti e disse coraggiosamente: Ci vado io, sono il più leggero degli uccelli e volerò più alto di tutti voi e vi riporterò il raggio di sole. Tutti gli uccelli lo guardarono volare via e lo persero presto di vista. Gli uccelli erano contenti e si misero tutti a cantare, probabilmente, si dicevano tra loro, lo scricciolo è di là delle nuvole e ha già catturato un raggio di sole. Ed effettivamente c’era un raggio di sole che aveva filtrato la coltre e cominciava, seguito da altri, a dissiparla. Gli uccelli si misero a cantare di gioia, ma le aquile del Médoc che avevano già la vista più acuta, videro come un sasso di fuoco che  stava cadendo insieme al primo raggio di sole. E cadeva, e cadeva. Era lo scricciolo che si era troppo avvicinato al sole e che si era interamente bruciato, lo scricciolo arrostito era nudo come al giorno della sua nascita. Allora tutti gli uccelli del Médoc volarono verso di esso e lo presero al volo. Poi andarono ovunque cercare delle piume per coprirlo. E mentre, gli uccelli del Médoc cercavano delle piume, il pettirosso, che era il più grigio di tutti gli uccelli del Médoc, per riparare meglio lo scricciolo, si strinse fortemente contro l’amico che rosseggiava ancora, tanto fortemente che tutte le piume del pettirosso che toccarono lo scricciolo, diventarono rosse come il sangue. Ed è la ragione per cui il pettirosso ha il petto rosso. Da allora, durante gli inverni freddi, lo scricciolo si avvicina del pettirosso e gli dice: Pettirosso vieni a riscaldarti nella casa del mio padre che ci sono ceppi di vite grossi quanto la mia coscia. Il pettirosso ha salvato la vita dell’uccello che ci ha portato il sole quindi anch’io quando fa freddo in inverno, lascio sempre la finestra della lavanderia dove c’è la caldaia, nel fondo del garage, aperta. E vado a rastrellare foglie o vangare un angolo del giardino per permettere al pettirosso di banchettare…  

Attraverso il finestrino passaggero sporco….

La macchina sballotta e geme sul viale parafuoco scassato che attraversa questo pezzo di pineta. Mi fermo per lasciare passare una laie* ed i suoi marcassin*. La macchina ringrazia, i miei reni in marmellata ugualmente. La laie non ha fretta e nemmeno io. La osservo in mezzo al viale sorvegliando i marcassin che stanno frugando dentro una craste* secca che corre lungo il parafuoco. Per passare il tempo, decido di scattare una foto con il telefono. Guardo la foto e penso che forse dovrei lavare la macchina, l’ultima volta era quando cadeva il polline dei pini. Va bene, annunciano della pioggia nella settimana, andrà bene così come lavaggio. Appena ho rinunciato a questo progetto cretino che vedo la laie guardare la macchina di un’aria schifata tipo: e dopo questi esseri umani ripugnanti dicono che siamo sporchi! Poi essa raggiunge il coperto delle querce seguita dai marcassin in fila. Scendo dalla macchina e grido in direzione delle querce con una mancanza completa di convinzione: va bene, inutile di fare la principessa, d’accordo, la laverò presto! Una volta di nuovo in macchina, mi metto a ridere del mio tentativo ridicolo di ingannare con una bugia un animale più furbo di me. 😉

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*Laie/scrofa. (cinghiale/sanglier)

*Marcassin/cucciolo di una scrofa.

Craste/parola guascone che designa un piccolo fiume scavato per aiutare lo scorrimento dell’acqua delle paludi.      

Oceano: Il cacciatore di lontre!

Non so come sono riusciti a salire questi tubi in acciaio ed a piantarli in cima al piquey*. Intorno ai tubi c’è una larga scala di legno che permette di raggiungere la zattera sostenuta dai tubi di acciaio e da cavi tesi e arrotolati tra tre pini centenari. La torre di osservazione è invisibile dentro la pineta e se non ci fosse questa minuscola traccia che ci si porta, simile a una piccola graffia sulla garbaye*, potreste passare davanti senza vedere la struttura. Una volta che siete sulla zattera, sovrastate un paesaggio tipico delle lande del Médoc: stagni, lagune, pinete coltivate, piquey ad ovest che vi impediscono di vedere l’oceano, distese di molinia caerulea tutte secche che fanno pensare a qualche savana africana. Mentre sto leggendo un libro pieno di vecchie parole medocchine  in un angolo della zattera, sento un trunte* ai piedi del piquey nel baren* tra i carex taglienti come rasoi e le vecchie querce, un cinghiale oppure un tasso, penso. L’animale sembra salire il piquey, un sapiens sapiens allora, mi dico; un fottuto sapiens che viene a scocciarmi anche alla fine della terra. L’uomo è vestito come per un safari, a me fa pensare un po’ al personaggio di Tartarino di Tarascona di Alphonse Daudet. Ci diamo il buongiorno. Buongiorno signor, lui dice gioiosamente. Addio signor, rispondo come lo farebbe mia madre. L’uomo trascina un grosso zaino e ne tira fuori tutta un’attrezzatura fotografica degna di un fotografo naturalista professionista, sistema il treppiede, monta il suo teleobiettivo mimetico sulla sua macchina fotografica, si siede sul suo seggiolino pieghevole e si mette ad osservare lo stagno nel mirino della sua macchina diabolica. Sto pensando: non è la buona ora e la buona stagione, le gru cenerine torneranno allo stagno solo alla stagione dei porcini, in autunno; ma cosa lui pensa scattare tranne due anatre, quattro folaghe e una coppia di cigni? Poi vedo qualcosa che non avevo mai visto prima sopra la savana che circonda lo stagno, un’aquila Jean-Le-Blanc che gioca nei correnti ascensionali e si libra su di noi senza mai battere un’ala. Immagino già il Jean-Le-Blanc fare una picchiata a una velocità pazza per afferrare con i suoi artigli un serpente. Sarebbe un peccato che il pec* che si è trascinato una tonnellata di materiale fotografico non possa almeno scattarlo. Signor? chiedo. L’uomo abbandona il mirino della sua macchina per girarsi verso di me. Gli indico, alzando gli occhi verso i cieli del Médoc, il Jean-Le-Blanc. Oh grazie! Ma non sono interessato dagli uccelli, sono venuto allo stagno per scattare le lontre! Eh, il tizio deve pensare che il Jean-Le-Blanc è un semplice bidòc!* Ma non oso dire qualcosa, sono troppo educato per questo e anche per chiedergli di questa storia inverosimile di lontre che si farebbero vedere in pieno pomeriggio! L’uomo torna a osservare lo stagno ed io il Jean-Le-Blanc nei cieli del Médoc. Poi, l’uomo si agita e si mette a scattare freneticamente qualcosa sullo stagno. Deve essere le sue famose lontre. Ora, il pec vuole che guardo anche io nel mirino. Lei vede le lontre che stanno giocando in mezzo allo stagno? Il coso è tanto possente che vedo anche le loro pulci! rispondo. Che meraviglioso spettacolo, no? Non oso dire qualcosa, sono troppo educato per questo e non vorrei rovinargli la  giornata, ma le sue lontre sono quattro nutrie che si divertono a ciampugliare* tra le canne. Una volta, il fotografo naturalista andato via, mi dico che ho meno di venti minuti ora per sperare vedere una picchiata del Jean-Le-Blanc, ma non succede ovviamente e, non posso aspettare di più senza rischiare di essere divorato dalle zanzare del baren che probabilmente hanno già smesso di dormire….. 

* parole di guascone marittimo (piquey/duna; garbaye/tappetto di aghi di pino; trunte/rumore; baren/ zona umida tra due dune; pec/pazzo; un bidòc/una poiana; sciampugliare trascrizione fonetica del verbo champolhar (sguazzare).

L’amore dei ricci!

Cuccioli di riccio nel mio giardino.

In autunno, se avete la casa in campagna, in un posto isolato del giardino, fate un mucchio di foglie e di legno sotto i siepi per permettere ai ricci di svernare. Se siete davvero fortunati, il maggio seguente, vedrete cuccioli di riccio uscire dal mucchio per fare i loro primi passi e, con il passare dei giorni, i cuccioli diventeranno più temerari e si metteranno ad avventurarsi più lontano dal nido sotto lo sguardo dei parenti. Dopo qualche mese, saranno addirittura i padroni del giardino e la notte sentirete i loro grugniti come quelli dei cinghiali della foresta accanto. I ricci faranno stragi di zanzare e di lumache e dovrete ricompensare i vostri bravi cacciatori con delle crocchette per gatti sistemate in una ciotola sotto l’atrio. Ovviamente, La mattina grugnirete anche voi perché i ricci avranno cagato dentro la ciotola. Ma è niente perché basta uno spruzzo d’acqua. E poi vi ricorderete che, una sera, mentre eravate in compagnia di un bambino di sette anni, dietro le persiane, a osservare i ricci sulla terrazza, lui, il cuore battente e l’occhio lucente, vi avrà sussurrato: Ora che abbiamo visto una cosa del genere, credo che possiamo morire!