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Umorismo: Il patrimonio sensoriale delle campagne francesi!

Gironda. A Montagne (Saint-Emilion) hanno sistemato un cartello all’ingresso del paese per invitare la gente a rispettare il “patrimonio sensoriale della campagna.”

L’occasione per me di scrivere un piccolo post umoristico visto che i paeselli del  mio Médoc assomigliano in meno belli ai paeselli di Saint-Emilion tranne anche l’altitudine ovviamente, che per un medocchino la zona di Saint-Emilion sembra le alpi austriache! 


Va bene la nuova legge di gennaio che tutela i rumori e gli odori delle campagne francesi per mettere fine ai contenziosi grotteschi che oppongono i rurali di sempre ei neorurali che appena sistemati alla campagna si lamentano a proposito di tutto e di niente. A me va bene il rumore delle campane delle pecore nei prati oppure gli odori di vinacce che mi ubriacano appena esco da casa. Ma perché questa legge della Repubblica francese deve anche tutelare il rumore dei campanili dentro questo patrimonio sensoriale delle campagne? Il telefono è stato inventato più di 140 anni fa e mi sembra davvero esagerato, nel 2021, di continuare a risvegliare tutto un paesello facendo suonare queste fottute campane per richiamare la gente alla messa. Dunque se il Papa Francesco potesse fornire al prete del mio comune un telefono oppure quattro o cinque walkie-talkie, ne sarei davvero grato. Soprattutto che con i quattro gatti smemorati che frequentano la nostra chiesa, gli basterebbe 30 secondi e tre chiamate per non rovinare il sonno precario del povero Cristo insonne che è l’autore di questo blog! 

Almeno i nostri morti non moriranno di Covid-19!

Foto del 1912 di Félix Arnaudin. Landes. Il camposanto di Labouheyre (Lou segrat de Labohèira)

La fermata della corriera è antistante al camposanto del mio paese del Médoc. Sono in anticipo di un’ora che è meglio che essere in ritardo che ci sono soltanto tre corriere al giorno. Per passare il tempo, divago lungo l’antico muro di pietra del camposanto. Conto i miei passi e rileggo per la centesima volta il cartello che il municipio ha fatto affissare sulla porta d’ingresso. E mi dico: Quanto hanno ragione quelli del comune di obbligarci a indossare la mascherina dentro il camposanto! Pensate, Già che gli abitanti di questo posto non sono troppo in salute, se dovessimo in più peggiorare i loro problemi polmonari! Sopra il muro di cinta, vedo che il cimitero è deserto. Ancora una mezz’ora da aspettare l’arrivo della corriera. Indosso una mascherina nuova di zecca e spingo la porta….

Fumetto: Correva l’anno 1933….

L’umanità è allegra; i passanti sorridono; tutto sembra andare per il meglio nel migliore dei mondi.

Improvvisamente i visi si preoccupano e si angosciano. Le facce si allungano o si innervosiscono.

Le schiene si ingobbiscono. I coraggi si trascinano.

La civetteria scompare. Le eleganze evaporano. Le forze stesse si esauriscono.

L’influenza ha fatto la sua apparizione! L’orrenda influenza! Quella che separa i coniugi più legati.

Che strappa i bambini alle bracce delle madri!

Che cancella i fidanzamenti più solidi!

Che ha ragione delle amicizie più fedeli.

L’ora delle effusioni è passata!

È quella delle infuzioni che iniza. A noi i senapismi e gli autoplasmi! A noi gli chinini e gli ioduri! a noi le compresse e le pillole!!!

A noi le coppette, le sanguisughe e altri apiratori vari.  A noi i corpi grassi borici e gomenolati di cui  ci si ingozza la gola e il naso.

Tuttavia, perché prevenire è meglio di guarire, pensiamo ad erigere ostacoli tra i nostri cittadini e noi per evitare la contagione. Se il paravento efficace è tuttavia ingombrante…

Usiamo il ventaglio più leggero e più grazioso, ma anche meno sicuro.

La maschera antigas sembra idonea. Peccato che sia così brutta.

La tenuta da cospiratore è ermetica, ma poco pratica.

C’è comunque l’ombrello, ma l’ombrello è insolente; a meno di doppiarlo con occhiali spessi e con un bavaglio antisettico.

Un mezzo pittoresco consiste ad usare lo scafandro. Però richiede l’aiuto di professionisti sperimentati, e non è per tutte le tasche.

La boccia! La semplice boccia di cristallo è ancora cioè che è più conveniente; è stagna, non impedisce la visione e nuoce per niente all’estetica.

Fumetto di Joseph Hémard, pubblicato nel giornale L’Intransigeant, il 16 gennaio 1933.

Bordeaux: L’aiga negra

Stavo osservando un blocco d’ombra grigiastro che l’antico mulino tagliava nell’acqua nera e mi chiedevo: quanti sono i fiumi neri che attraversano Bordeaux per andare a buttarsi nella Garonna? Quante sono le reliquie ei monconi dei mulini che si rizzano sulle sponde dei fiumi neri? Quante battaglie cruente e dimenticate  si sono svolte in due mille anni per impadronirsi della forza motrice dell’acqua dei fiumi neri? quando si è rimesso a piovere. Il sentiero, dilavato dalle piogge continue di quegli ultimi mesi, fa il giro di una duna chiamata ironicamente Arcachon e che ricorda l’Oceano solo per una linea bluastra di pini marittimi che sfugge verso Ovest e la presenza di corbezzoli mingherlini. Ai piedi della duna, durante la stagione fosca, la foresta trasformata in mangrovia è diversa da quella dell’alto. Malefica. Pini rattrappiti e scorbutici divorati dagli insetti; querce giganti morte, sradicate e giacenti attraverso il fiume oppure dritte, ma folgorate e calcinate dai fulmini. Radici di ontani che assomigliano a grossi serpenti morti, bucchi d’acqua e accozzaglia di rami marci che cercano a rompermi una gamba. Eppure, per caso, in questo universo, attraverso una bellissima radura luminosa che sembra essere stata risparmiata dalla pioggia. Una bella insenatura silenziosa con la sua sabbia bianca che fa come la camicia di una giovane sposa. Allora, so che è stato un errore di lasciare il sentiero per scendere fino al fiume nero. Si dice che una volta in queste insenature venivano i contadini, i servi, i mugnai per festeggiare il Sabba e che, al crepuscolo di certe sere, ci si può ancora incontrare lavandaie che lavano il loro oro nell’acqua turbata dei fiumi neri e che vi propongono un pugno di monete d’oro, tutto quello che la  vostra mano può afferrare. Se non sapete resistere alla cupidità, il vostro destino è sigillato: morte per annegamento. Risalgo la duna che sembra una coltre nera di pini marittimi, scivolo mille volte sulla sabbia tutta impregnata d’acqua, mi tengo ai pilastri che sono i pini marittimi per progredire. La duna è varcata. Scendo dall’altra parte fino a ritrovare il sentiero. Un altro mulino più lontano. Il tumulto dell’acqua nera che si infrange contro la chiuse e che ne risale tutta gialla è schiumosa dall’altra parte prima di ridiventare nera dopo una decina di metri. Mi accorgo di qualcosa che si muove sul tetto del mulino accanto al camino. Allora uno che crede alle lavandaie, per forza è persuaso anche che i diavoli vivono nei camini. Quando torno a casa, la pioggia è diluviana. Ripenso alla radura luminosa che ho attraversata mezz’ora fa e all’ombra sul tetto del mulino. Quindi vado a tagliare un bel ramo di alloro nel giardino. La sera, la pioggia è sempre torrenziale. Il giardino è quasi allagato. Al momento di andare a letto, butto il ramo di caccia-diavolo ancora bagnato nel fuoco del camino. Non si sa mai, penso, se qualcuno mi avesse seguito dal mulino. Rido delle mie superstizioni di un altro tempo.