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Covid-19 e bufala: Tremate italiane e italiani…..

… Dopo l’inglese e la sudafricana, sta arrivando la variante francese*!!!! 😉

*Cari giornalisti italiani so bene che dovete vendere carta o fare cliccare sui vostri articoli per guadagnare lo stipendio, ma un minimo di deontologia, no? Ma se citate come fonte una dichiarazione della direttrice dell’ospedale di Compiègne e se lei dice che tra i 160 pazienti contaminati non ci sono tracce della variante inglese, non vi viene  in mente che questo significa semplicemente che sono stati contaminati dal ceppo originale del covid-19 e non da qualche misteriosa nuova variante francese fantasma?  Oppure lo sapete, ma è troppo banale e si guadagna meno con un titolo tipo: 160 pazienti contaminati dal covid-19 in un ospedale francese. 🙂 🙂 🙂 🙂

 

 

In cui l’autore di questo blog propone una soluzione provata ed ecologica a un politico americano bannato da twitter!

L’uso di piccioni viaggiatori o di corsa per la trasmissione dei dispacci da una città all’altra risale alla più alta antichità.
I marinai egiziani li usavano, nei tempi più remoti, per annunciare alle loro donne il loro ritorno ad Alessandria (felici amanti!).
Nei tempi più moderni, nel 1575, la città di Leida (Olanda), assediata dagli spagnoli, fu salvata dai piccioni viaggiatori. Nel 1572, la città avendo preso il partito degli Stati contro il Re Filippo, Luis de Requesens che aveva sostituito come governatore il duca d’Alba, fece investire Leida dal suo Generale Francisco de Valdez. Quello si era impadronito di tutti i viali della città, calorosamente difesi dal comandate Johan van der Does, e aveva racchiuso Leida fra settantadue trinceramenti per affamarla. Fu allora che i suoi abitanti, soffrendo dal doppio flagello della carestia e della peste, parlarono di capitolare. Però fra tempo il Principe d’Orange aveva proposto di sfondare le dighe della Mosa dell’Ijssel per inondare i dintorni della città assediata; quel progetto fu adottato e messo a esecuzione, la notizia fu trasmessa al borgomastro di Leida, il signor Van der Werf, da piccioni viaggiatori, con la richiesta di sostenere il coraggio degli assediati fino all’arrivo del l’ammiraglio de Zelanda, Lodewijk van Boisot, con una flotta di navi piatte cariche di viveri per soccorrere i cittadini. Il borgomastro in fretta fece sapere agli abitanti della prossima liberazione di Leida che gli era stata annunciata dai piccioni viaggiatori e offrì il suo corpo in sacrificio al popolo che parlava di capitolare. Il sacrificio del borgomastro insieme a questa comunicazione furono accolti da applausi frenetici, e ispirarono un tale coraggio agli abitanti, che, quando Valdes ingiunse alla loro resa, risposero fermamente che dopo aver mangiato il loro braccio sinistro, difenderebbero ancora le loro mura con il loro braccio destro.
In quel mentre, le dighe della Mosa e dell’Ijssel erano state fondate: un vento Sudovest ne impedì, in un primo tempo, il successo; però quando la città fu ridotta alle sue ultime estremità, si mise a soffiare un vento favorevole che spinse l’acqua verso i luoghi da soccorrere, e gli spagnoli furono costretti a levare l’assedio di Leida che era durato cinque mesi.

Médoc: Un pomeriggio di gennaio a Margaux!

Tre cicogne sulla cima di una montagna di letame. Un grosso albero da limone in una botte di vino a rotelle, davanti alla porta aperta di una stalla, che tenta di sopravvivere agli assalti del vento gelido che soffia dall’Oceano. Macchie di mucche calzate di fango nel verde dei prati allagati. Pazza incontrata sul cammino scassato dai mezzi agricoli che mi chiede se il sole sarà più alto e ci scalderà di più fra qualche ora. Sguardo mio verso il pallido sole che sta già tramontando mentre cerco qualcosa di logico da rispondere. Campi a ridosso del fiume tutti rizzi da monconi di mais. Stivali che affondano nel fango e si puliscono nellacqua nera delle pozzanghere. Detriti del mondo civilizzato portati dalla marea che ricoprono la riva: bottiglie, vasi, sedili, biciclette arrugginite, legno, cadavere tutto gonfiato di una capretta. Tetto in ardesia, arrogante e ridicolo, nel lontano, del castello di un signore del vino che vorrebbe rivaleggiare con la bellezza del tetto mezzo crollato in tegole romane di un’antica cascina medocchina. Nero dei corvi e cormorani nei cieli del Médoc. Nevicate di uccelli di mare sulla riva selvaggia dell’isola Verde. Biondezza delle falesie di Blaye sull’altra riva, lontano a valle. Vichingo barbuto che ha parcheggiato il suo minuscolo quadriciclo sul poggio erboso che chiamiamo orgogliosamente: Porto, e che legge qualche giallo dietro il suo volante. Gridi delle ocche e anatre ingabbiate in mezzo agli stagnetti da caccia. Freddo che mi trafigge le ossa. Vichingo che ora si è addormentato dietro il volante. Rumore di una manovella che fa girare un pescatore dentro la sua capanna su palafitte. Rete che si alza sgocciolante….