Mese: settembre 2020
La Rochelle: Il canto della cipolla!
Non lontano da La Rochelle, l’anno scorso, vi ho portato sull’isola d’Aix dove La paglia al naso ha trascorso i suoi ultimi giorni in Francia prima di essere spedito dagli inglesi sull’isola di Sant’Elena per crepare, in silenzio, della sua ulcera allo stomaco. Non so perché molti dei miei concittadini hanno questo vizio delle rievocazioni storiche e questo gusto di travestirsi in soldati della vecchia guardia del mangiatore di figatelli. Mistero. Comunque è difficile in Francia di scappare a Napoleone in estate – come in Italia è difficile di evitare le rievocazioni medievali e gli italiani in collant – Quindi sono sul sagrato della chiesa Saint-Sauveur ad assistere a un esercizio di virtuosità dei tamburini e dei pifferai dell’esercito di La paglia al naso. Tra due movimenti, il vecchio maresciallo spiega al pubblico a cosa corrisponde ogni rullo di tamburo nello svolgimento della battaglia. ad un certo punto, loro suonano qualcosa che riconosco subito. Il maresciallo chiede se qualcuno avesse un’idea del titolo della marcia militare. Silenzio. Non riesco a resistere ad aprire la mia fottuta bocca: Facile, colonnello! mi esclamo. Non è affatto una marcia militare, è una filastrocca per bambini! Ho riconosciuto il ritornello, la canzone si chiama: Ho perso il do del mio clarinetto. Non vi dico, cretino come sono, lo sforzo che devo fare per non mettermi a cantare il ritornello davanti alla truppa, là sul sagrato della chiesa Saint-Sauveur sul porto di La Rochelle: Al passo camerati, al passo camerati, al passo, al passo, al passo…. Il maresciallo mi guarda – nonché tutta la gente – come se fossi questo miserabile Blücher. Ma cosa ho detto come stupidaggine che sembrano volere fucilarmi? Passano alcuni secondi come se fossero ore per me, poi il maresciallo si mette a ridere francamente. No, non è: Ho perso il do del mio clarinetto anche se il ritornello è lo stesso. Questa marcia si chiama: il canto della cipolla ed è al suono di questo canto che Napoleone e i suoi granatieri hanno conquistato l’Europa. Appena i nemici sentivano il canto della Cipolla che scappavano – probabilmente l’alito dell’esercito, penso, senza osare intervenire di nuovo. Il maresciallo prosegue: secondo la leggenda, il canto è nato prima la vittoria alla battaglia di Marengo quando Napoleone si accorse che i suoi granatieri strofinavano cipolle sul loro pane prima l’assalto. Il divino Imperatore ha allora chiesto: Cazzo, ma cosa state strofinando sul vostro pane? Cipolla, generalissimo! Ah, non c’è niente di meglio per marciare di un buon passo sulla via della Gloria! ha risposto il divino Imperatore – è tutta un’invenzione, penso, come se l’aiaccino fosse capace di fare una frase così complicata. Ora, dice il maresciallo, sfiliamo verso la torre della Lanterna e nelle vie del porto suonando il canto della cipolla. Seguo la fanfara nelle vie di La Rochelle con il pubblico e mi diverto un sacco. Da allora, non posso più togliermi questo fottuto ritornello della canzone: Ho perso il do del mio clarinetto, che avevo imparato, bambino, a scuola! La vendetta della Paglia al naso! Al passo camerati, al passo camerati, al passo, al passo, al passo….
Cliccate lo scatto se volete sentire la musica e le parole del napoleonico Canto della Cipolla che pensavo fosse la musica della filastrocca per bambini: Ho perso il do del mio clarinetto.
Mi piace la cipolla fritta in olio,
Mi piace la cipolla perché è buona.
Mi piace la cipolla fritta in olio,
Mi piace la cipolla, mi piace la cipolla.
Ritornello
Al passo camerati, al passo camerati,
al passo, al passo, al passo.
Al passo camerati, al passo camerati,
al passo, al passo, al passo.
Ritornello
Una singola cipolla fritta in olio,
Una singola cipolla ci trasforma in Leone,
Una singola cipolla fritta in olio,
Una sola cipolla una sola cipolla
Ritornello
Ma nessuna cipolla agli austriaci,
Niente cipolle per tutti questi cani,
Ma nessuna cipolla agli austriaci,
Niente cipolle, niente cipolle.
Ritornello
Amiamo la cipolla fritta in olio,
Amiamo la cipolla perché è buona,
Amiamo la cipolla fritta in olio,
Amiamo la cipolla, amiamo la cipolla
Ritornello
In cui l’autore di questo blog sente parlare di Matteo Renzi a La Rochelle!
Dietro l’università, stavo ammirando il tramonto sull’Oceano quando ho colto al volo questo breve pezzo di discussione tra due studentesse:
Studentessa 1: Allora, dimmi, cosa vorresti per il tuo compleanno? Cosa ti farebbe piacere che stiamo facendo una piccola colletta con gli amici del T.D (Lavori Guidati)?
Studentessa 2: Oh, a me farebbe piacere da morire una maglietta con la foto di Matteo Renzi e sotto scritto in grande: CHICHE!!! (SCOMMETTIAMO!!!).
Non so ancora come sono riuscito a trattenere una risata pensando che il tizio ha più fan a La Rochelle che in Italia 🙂 🙂 🙂 🙂
Teaser: Viaggio di un bordolese nei Paesi gabache.
Melusina è la fata maggiore dei Paesi delle Charente, la maga di Lusignano. E, se volete, vi racconterò la storia di questa fata. Tra i poteri di Melusina, una volta, gli abitanti di quei Paesi pensavano che tutti gli edifici antichi: i tempi, gli acquedotti, i circhi romani, le chiese, i torri di La Rochelle, le fontane, i castelli, le case…Insomma tutte queste costruzioni di cui gli uomini non sapevano spiegare l’origine, erano opere di Melusina. Secondo la leggenda, ogni volta che Melusina era sorpresa da qualche contadino, di notte, volando nel cielo trasportando le sue pietre di costruzione, il suo vestito di lino e di pizzo si slegava e il materiale di costruzione cadeva a terra formando un nuovo edificio.
Gabacho è una parola spagnola per designare dispregiativamente un francese, qualcuno che viene dal Nord, di là dei Pirenei. Nel guascone del Médoc che parlavano, una volta, i nostri nonni, gabache aveva lo stesso senso che in spagnolo ed era una parola dispregiativa per designare quelli che parlavano francese, quelli del Nord, sull’altra riva del fiume sopra la città di Blaye, in quella regione di fronte al Médoc che si chiama la Saintonge. Per me, gabache, non è una parola negativa, la uso, tra me e me, per designare gli abitanti della Charente, della Charente marittima e del Poitou. Poi, una prova che i tempi sono cambiati, è che ho trascorso una settimana di vacanze in Charente-marittima a La Rochelle; se non è una prova questa che non ho di pregiudizio contro i gabache! Spero, cari lettori e care lettrici, che sarete interessati di scoprire con me, attraverso una serie di post, quello che chiamo i Paesi gabache.
Bacino di Arcachon e poesia: il canto della Leyre. quarta parte.
Tradotta da me in italiano dall’antica lingua del Bacino di Arcachon, ecco la quarta parte del bellissimo Canto della Leyre del poeta di Arès, Emilien Barreyre. Per la prima parte, cliccate qui; per la seconda, cliccate qui e per la terza, cliccate qui.
Èras encajolada, e pertant, ta beutat,
Era as sèirs clars de primavèra,
Gràcia au cèu gran aubèrt sus era,
La d’una encarceirada en plena libertat.
Eri imprigionata, eppure, la tua bellezza,
Era le chiare sere di primavera,
Grazie al cielo spalancato su di essa,
Quella di una incarcerata in piena libertà.
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Es qu’es la libertat permèira,
Quan n’agent coma tu que lo jorn per gardian,
L’òm pòt, eth escondut, dens un leit veirejant,
Recéber tot l’estelèira.
È che la libertà prima,
Quando si ha come tu che il giorno per custode,
Si può, nascosta da lui, in un letto di cristallo,
Ricevere tutto lo stellante.
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Atau, bèra totjorn, e pujar, e pujar,
Tot au long de la ròca blanca;
E pataquèvatz shens estanca,
Era per ta sequèira, e tu, per l’engorgar.
Così, bella sempre, e salire, e salire,
Lungo tutta la duna bianca;
E vi picchiavate senza tregua,
Essa per prosciugarti, e tu, per riempirla.
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Ajudas. Diu te’n balhèt quate :
Tòs dus sorguilhs, la pluja e d’Èst lo brusc aurei ;
E ‘ren qu’en te corsant as bohats dau darrèir,
Emb pro de temps, podèvas bater.
Di aiuti. Dio Te ne diede quattro:
Le tue due fonti, la pioggia e d’Est la forte brezza;
È soltanto spingendoti dai suoi soffi,
Che a lungo, potevi resistere.
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Es atau que bohant sus ton blusós estèir,
Lo vent tan plombant d’eth hadèva
Una maròta que halèva,
E lo long de la ròca alavetz quau rastèir.
È così che soffiando sul tuo fiume bluastro,
Il vento abbattendosi tanto su di essa faceva
Un piccolo mare che montava,
Dai frangenti fino ai fianchi della duna.
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Puèi, de tu, lavetz, cada andada,
Cunhèva en baish la ròca a ras com un rocàs,
E caduna, autanlèu, tornèva a tòs aigàs
Emb una andada ensableirada.
Poi, da te, allora, ogni onda,
Batteva in basso la duna alla base come un masso.
E ognuna, subito, tornava alle tue acque
Con un’onda sabbiosa.
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Mès la pluja entretemps, het mei que lo vent d’Est.
E pugères tant, ò ma Lèira,
Que de la mostrosa sablèira,
Dévarès tot brusc lo pantòc de l’Oèst.
Però la pioggia frattempo, fece più del vento d’Est.
E salisti tanto, o Leyre mia.
che della mostruosa duna,
Scendesti di un colpo il fianco Ovest.