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Wunderkammer

Sono andato a vedere una mostra dedicata alle camere delle meraviglie che si chiamano cabinets de curiosités in francese. Immaginatemi, visitatore unico per causa di covid-19 e di afa, mascherato, deambulando nel buio in un immenso castello ducale trasformato in una camera delle meraviglie… Il post si divide in due. Nella prima parte, mi sono divertito a fare un elenco, non esaustivo ovviamente, delle cose che mi piacerebbe di aver se avessi una stanza delle meraviglie. La seconda parte è una riflessione fosca a proposito delle wunderkammer tratta dal famosissimo libro: Praga Magica di Angelo Maria Ripellino e che voglio condividere con voi. Ripellino ci racconta che nel libro di Max Brod, l’ultima esperienza di Tycho Brahe,  l’astronomo Tycho Brahe, un giorno, è invitato a visitare la più meravigliosa delle wunderkammer creata da un uomo, quella dell’imperatore Rodolfo II. E Ripellino e l’astronomo di svelarci la ragione per cui l’imperatore colleziona tutti questi oggetti e come lui è possesso dai suoi feticci…

Un Amuleto udjat, l’orecchio sinistro di Beethoven, una bilancia truccata, una mummia guatemalteca, l’astrolabio di Vasco da Gama, l’anatra-automa digeritrice di Vaucanson, una collezione di campanelli per celireferi, un bicchiere pieno d’acqua del fiume Pison, nove Lithobates catesbeianus in alabastro, una mazza da guerra kanak a forma di becco di pellicano, un orologio svizzero in ritardo, il bicorno che portava Lafayette alla battaglia di Yorktown, una candela rubata a Santa Maria in trastevere, una parrucca tutta tarmata del Re Sole, Il coltello di Bruto ancora tutto sanguinolento, una bibbia calvinista senza la copertina, l’ancora del Nautilus, quattro tsantsa tutte rinsecchite, una collezione di piume multicolori di Quetzal nonché diverse piume di altri uccelli sudamericani sconosciuti, la vipera che ha morso Cleopatra conservata in un vaso di formalina, la mascella inferiore di un unicorno, una collezione completa di ostriche slovacche, il naso di un generale vandeano conservato in un vaso di formalina, una collezione di suore spagnole naturalizzate che sarebbe appartenuta a Voltaire, una collezione di pipe olandesi in schiuma di mare, Quattro farfalle vampire della Tasmania, un mattone della prigione della Bastiglia con il suo certificato di autenticità, una collezione di mutande di Caterina de’ Medici, i veleni della chiromante La Voisin…

“Nel romanzo di Brod, visitando la “gackomora” rodolfina, Tycho Brahe tutto si raccapriccia in considerare l’opressione e l’angoscia che suscita “questo cumulo confuso di oggetti”: pareva all’astronomo “che lo stesso imperatore tremasse di spavento di fronte a quell’immensa ricchezza”.

La febbre di oggetti nasce in Rodolfo dalla bramosia di riempire il vuoto che lo avviluppa, di soperchiare la paura della solitudine. Egli congrega avidamente una selva di rari ordigni, comme a innalzare muraglie contro la morte. Il suo collezionismo maniaco esprime tanatofobia. Se è vero come Gogol afferma nel Ritratto che una vendita all’asta somiglia a un uffizio funebre, per la penombra e la lugubre voce del banditore che batte col martelletto, -le prodigiose raccolte di Rodolfo hanno anch’esse qualcosa di sepolcrale e le sue gallerie son arche di morti più che stanze di vivi.

Ma quell’inerzia, quella fissità è soltanto apparente. Le morte cose rivelano una sinistra inquietudine. Lo guardano con maleficio dalle loro tane come bestie in agguato. E alcune, troppo guardate da lui, hanno assunto il suo volto, quasi fossero specchi della sua ipocondria.

Agli ipocondraci molto avvantaggiosa è la mutazione dell’aria, che le fibre del cervello fortifica, il sugo nervoso purifica ed i fermenti tutti coi fluidi corregge. Ma Rodolfo non riesce a sottrarsi agli oggetti che lo tengono schiavo. Egli torna tra loro anche nel cuor della notte alla fosca vampa di grandi doppieri. Ed ecco sembra mutarsi in uno degli uomini-oggetti delle “bizzarrie” dei Bracelli, in un corpo tutto scomparti e cassetti, per nascondervi peccheri, gemme, monili. Il ranocchiesco cric-crac degli armadi, l’ammiccare dei cristalli e degli amuleti, l’idiozia a santo dell’abinzoar, i terribili occhi dei quadri, il sugnoso luccichio delle stoffe, i bisbigli delle pietre sono per lui più attraenti degli affari di stato. In quella dispensa di “huaca” , in quel dreamland” di feticci egli legge il mistero dell’universo, come nelle cucurbite e negli oroscopi.”

Angelo Maria Ripellino, Praga magica.

Médoc: Porcini d’agosto!

Passeggiata serale. Tre piume nere e azzurre di ghiandaia viste nella foresta di querce. Tre cormorani, fuori stagione, visti in cima del vecchio albero morto. Tre caprioli visti bevendo in una pozzanghera della laguna piatta. La sera quando vado a letto, il tempo è diventato brusinaccioso*. Fra tre giorni, penso, con tutti questi segnali, è ovvio che mi trovo un bel cestino di porcini d’agosto. 

*La brousine è una pioggia tipica di Bordeaux, fine e persistente.

Estuario: La corda.

Un’ora ha detto il tizio del centro revisione auto. Non lontano dal centro auto, c’è il vecchio liceo. Quando lo frequentavo erano vecchi  prefabbricati costruiti in fretta dopo la seconda guerra mondiale. Poi, abbastanza recentemente, il comune si è accorta che la guerra era finita da settanta anni e la regione, la morte nell’anima ma i genitori sono diversi di quelli di una volta, ha deciso di radere i prefabbricati per costruire un liceo nuovo di zecca: senza amianto, senza ragazzi che gelano in inverno e che friggono in primavera. Dietro il liceo, c’è la foresta e il fiume verso il quale dirigo i miei passi per andare a respirare un po’ di freschezza. Nella cala che avevo scoperto con due altri liceali, ci sono due ciclisti tedeschi, seduti sulla sabbia, che si ristorano. Pellegrini di Compostela, penso, visto tutta questa roba pesante, in equilibrio precario sulle bici appoggiate a un albero. Dopo il consiglio di classe di primavera, i corsi proseguivano anche se conosceste già la vostra sorte. Un giorno che c’era un buco di due ore tra due corsi, avevo sgattaiolato fuori, con due altri, per andare a vagare verso il fiume e avevamo scoperto la cala. Una vecchia corda tutta sfilacciata era annodata allo stesso ramo di salice. La mensa del liceo era fuori, in centro del paese, quindi l’indomani, invece di andare a pranzare, siamo tornati alla cala. Uno aveva rubato una corda nel garage del padre, Un altro due birre al suo padre che non ne teneva il conto. Abbiamo riuscito ad annodare, chissà ancora come, la nuova corda al ramo. Poi abbiamo nascosto la birra in qualche arbusto di pungitopo che era già l’ora di tornare al liceo. L’indomani siamo tornati per bere la birra e, in costume, abbiamo giocato a saltare dalla riva per afferrare la corda sopra il fiume. Ovviamente nessuno ci riusciva e finivamo in acqua. Un maggio di tanti anni fa. La storia è durata tutta una settimana. Forse alla mensa si erano resi conto che non ci andavamo più, ma non è così che siamo stati beccati. Il venerdì c’erano due ore di matematica dopo il pranzo e, ci divertivamo tanto al fiume con il gioco della corda, che avevamo dovuto sbrigare per non tornare in ritardo al liceo, rivestiti in quarta senza  aver avuto il tempo di asciugarsi. I capelli bagnati, le magliette con degli schizzi di umidità, i costumi bagnati sotto i jeans. Durante la lezione, gli occhi che guardavano fissamente in basso per paura di essere interrogati dalla professoressa. Poi il fatidico: Signor A…, alla lavagna! pronunciata dalla maledetta. Poi ancora dopo dieci seconde mentre stavo disperatamente tentando di rimettere le mie scarpe che avevo tolto: Ma cosa lei fa che l’ho chiamata? E tutti gli allievi di ridere tranne io ei miei due complici mentre mi avanzavo gocciolante verso la lavagna e che avevo l’impressione che il rumore delle mie scarpe faceva dei mostruosi: splash, splash e altri ploc, ploc….Niente sembra cambiato, c’è sempre una corda come una volta e, a fantasticare sulla sponda del fiume, sono in ritardo per andare a recuperare l’auto. 

Estuario: Vecchia casa italiana e Madonna della montagna agli uccelli!

Alta Gironda. Giornata afosa. Mentre i turisti, appena sbarcati dal traghetto Lamarque-Blaye, impavidi, salgono verso la cittadella, mi precipito nella penombra di un bar del porto per fischiarmi qualcosa di fresco. Il paese accanto a Blaye verso Sud, a meno di tre chilometri dal porto e dai suoi sentori di vinaccia che ubriacano i poveri vecchi del bocciodromo, si chiama Plassac. Forse non lo sapete, ma i numerosi cognomi e nomi di città che si terminano in ac in guascogna sono di origine rital. Nel 1883, Il campanile della piccola chiesa di San Pietro in Vincoli minacciava di crollare e, ci voleva, quindi, fare lavori urgenti per il consolidamento del muro Nord adiacente al campanile. Gli operai cominciarono a scavare ai piedi del muro Nord e più scavavano  più mettevano alla luce: marmi, anfore, monete, tessere di mosaico, pavimenti in mosaico. Quindi nel 1883, nonostante il nome in ac (Plassac viene da Blacciacum cioè la villa di Blaccius) nessuno si era immaginato che ci fosse veramente una villa romana a Plassac.

I ricercatori cercarono, per mesi, nelle archive di Bordeaux e trovarono finalmente, un testamento del sesto secolo dove un vescovo lasciava il suo podere di Blacciacum alla sua chiesa. Non si andò più lontano. Si finì i lavori di ristrutturazione della chiesa, si richiuse il tutto e la storia della villa del rital ricadde nel dimenticatoio per decine e decine di anni. Ora, immaginate che non c’è più niente. Solo l’estuario, le rive paludose dove è seppellita la villa del rital, le colline verdeggianti che dominano il fiume, le isole e il Médoc sull’altra sponda. Siamo nel 804, e in queste colline di Plassac, Carlomagno che aveva consacrato il suo piccolo esercito alla Madonna, sta combattendo i saraceni. Il vecchio alla barba più o meno marcia respinge i suoi nemici e, alla fine della battaglia vincente, impugna la sua spada che si chiama “Gioiosa”…. Avete già visto i tizi che lanciano il martello ai giochi olimpici? E bene, questo fottuto vecchio di Carlomagno fa la stessa cosa tranne che la sua spada percorre almeno quattrocento metri in direzione di Bordeaux per andare a ficcarsi in vetta alla montagna agli uccelli (Montuzets in guascone, auzets/uccelli). Era così all’epoca che si sceglieva i posti per edificare le cappelle in segno di ringraziamento per l’aiutino dalla parte delle divinità. Quindi Carlomagno fece erigere una croce monolita di sei piedi detta del “falso-cuore” in riferimento alla sconfitta di questi miscredenti di saraceni e una cappella per ospitare la statua della Madonna di Montuzet. Notate che secondo gli storici che hanno studiato attentamente l’episodio di Carlomagno e del suo lancio di spada, è una barzelletta. Secondo me, non c’era bisogno di troppo studiare, un giro su un terreno di gioco a tentare di lanciare qualsiasi oggetto a quattrocento metri e si traeva una conclusione sulla verosimiglianza del coso in meno di trenta seconde. Quindi, ora si crede che la cappella della Madonna di Montuzet era anteriore all’episodio di Carlomagno e sarebbe stata edificata da Oddone I d’Aquitania al suo ritorno dalla battaglia di Poitiers nel 733. Come sono bugiardi quei franchi!

Comunque sia quasi dall’inizio, una confraternita di marinai è creata, detta anche dei Regolari. La Madonna di Montuzet è dedicata ai marinai di cui i suoi due altri nomi che sono sinonimi: Madonna dei marinai oppure Madonna dei Regolari. Quando state a Plassac, capite subito che è un paese di marinai. Una confraternita di gente di mare è una specie di società pia di mutuo soccorso, un antico sistema, in qualche modo, di previdenza sociale per i marinai di Bordeaux e della sua regione. Ogni anno, c’era una processione, tutte le barche delle ventitre parrocchie di Bordeaux e di tutti i paesi dell’estuario solcavano verso Plassac, il sabato dopo la Pentecosta. Un’intera flotta ornata di migliaia di orifiamme al vento navigava verso il piccolo porto di Plassac. I marinai salivano la montagna agli uccelli per chiedere alla Madonna di non morire in mare, di non fare naufragio, di avere una buona stagione di pesca. Insomma tutte le cose che potete immaginare e che tutti  i marinai del mondo chiedono alle loro divinità. Poi, oltre ai marinai ci furono anche dei pellegrinaggi organizzati dalla nobiltà e dalla gente comune tanto  la Madonna di Montuzet aveva la reputazione di fare miracoli. Quasi tutti i Re di Francia fino al Re Sole diedero dei privilegi alla confraternita dei Regolari e alla cappella della Madonna di Montuzet che traboccava letteralmente di ex-voto. Poi, la data della processione cambiò e si svolse il lunedì di Pentecosta. Il santuario di Montuzet divenne troppo piccolo per accogliere tutti membri della confraternita dei marinai di Bordeaux e la confraternita si sistemò nella chiesa di San Michele a Bordeaux. Nel 1682, sono i lazzaristi che presero la carica del Santuario di Montuzet. I lazzaristi sono missionari che, dal 1625, avevano la missione di evangelizzare la Francia e l’Europa contro le idee protestanti. I lazzaristi – il nome viene degli edifici di Saint-Lazare a Parigi dove si sistemarono i primi lazzaristi – aggiunsero al Santuario un ospizio e accolsero i pellegrinaggi di guarigione che si svolgevano, fuori dal lunedi di Pentecosta, da maggio a ottobre. Poi, vennero le Luci, la Rivoluzione francese e la fine delle superstizioni. Nel 1792, le chiese sono chiuse o saccheggiate. Gli edifici dei lazzaristi sono distrutti o venduti come beni nazionali. Degli abitanti di Plassac riescono a nascondere il reliquiario di Santa Fruttosio che è la santa locale e probabilmente, visto l nome, la Santa patrona delle confetture e altre marmellate. Non la cercate sul calendario, era una ragazza di Plassac di cui solo le ossa e il nome ridicolo è pervenuto fino a noi. Quindi il reliquiario di Santa Fruttosio è nascosto nonché la statua in legno della Madonna di Montuzet che riappare nel 1802 quando è ripristinata la libertà di culto. Da allora, la Madonna è posta sull’altare della chiesa di San Pietro in Vincoli e il reliquiario di Santa Fruttosio inserito nell’altare. Negli anni 1850, il cardinale di Bordeaux che tornava da un giro di ispezione dai selvaggi del Médoc vide la sua nave presa in un uragano improvviso che si abbattette sull’estuario al livello di Lamarque. I venti si scattarono con una furia mai vista prima, delle onde giganti si scagliarono contro la nave che rischiava di essere polverizzata in ogni istante. Tutto era perso, restava solo al cardinale a pregare prima di morire annegato nel fiume. Il cardinale si inginocchiò su fondo della barca alla deriva e si mise a pregare la Madonna dei marinai, la Vergina di Montuzet. Subitamente, l’uragano svanì e la nave, come guidata da una mano gigante, fu spinta al riparo sulla sponda Est dell’isola Verde. In ringraziamento, il cardinale fece edificare, al posto del maestoso santuario di una volta distrutto dalla Rivoluzione francese, un grosso piedestale sormontato da una nuova statua della Madonna di Montuzet che guarda verso il fiume. Le processioni a Montuzet che avevano iniziato con Carlomagno, hanno finito con l’inizio della seconda guerra Mondiale. Se andaste un giorno a Plassac, potreste salire fino alla nuova statua della Madonna di Montuzet, c’è una bellissima veduta sull’estuario e sul Médoc sull’altra riva. Io, non ci salgo, altrimenti crepo con quel caldo dell’inferno e comunque la vera statua della Madonna di Montuzet è quella in legno dentro la chiesa di San Pietro in Vincoli. Ah, è la villa del rital seppellita  ai piedi del muro Nord della chiesa?

E bene, figuratevi che negli anni 1960, la proprietaria del campo accanto alla chiesa, decise di coltivarci un po’ di vigna. Quindi si cominciò ad arare il terreno e stessa storia che nel 1883, si cominciò a trovare delle anfore, degli oggetti romani, delle tessere….La proprietaria, che era una appassionata di archeologia, contattò l’università di Bordeaux e degli scavi furono organizzati durante una quindicina di anni. Gli archeologi misero alla luce tre ville. L’expat italiano si era fatto costruire una villa marittima sotto il regno di Tiberio. Il tizio doveva guadagnare un sacco di soldi con il commercio del vino soprattutto che noi dell’Aquitania siamo dei franchi bevitori! Poi la famiglia del tizio, arricchita a morte durante il secondo secolo, demolì la villa marittima per farsi costruire al posto, niente di meno che una replica di 12000 metri quadrati (compresa la fattoria) del palazzo imperiale sul Palatino. Poi, i secoli seguenti, la villa periclitò con il declino dell’impero romano e le invasioni visigote. Se avete l’occasione di andarci, è un piccolo angolino di Roma in un paese tipicamente bordolese e poi, da ammirare, ci sono i pavimenti con i mosaici nello stile dell’Aquitania cioè che la gente della regione amava tanto i carciofi che non poteva impedirsi di usare questo motivo nei loro mosaici. Quindi non andate a raccontarmi la barzelletta di Caterina de’ Medici che ha fatto scoprire i carciofi ai francesi! I carciofi si mangiano in Francia dall’Antichità! Va bene, è tempo di tornare al porto di Blaye per farsi un bicchiere prima di riprendere il traghetto di Lamarque, che il Médoc mi manca già!